Racconta l’Italia e poi…
Articolo di Gattonero
Era un tema ricorrente alle elementari.
Lo svolgimento era abbastanza semplice, bastava accennare, almeno vagamente, alla dimensione territoriale, altrettanto vagamente alle sue risorse, alle sue bellezze, ai suoi mari, ai suoi monti… a qualunque cosa che consentisse di riempire i fogli del quaderno; una sufficienza era il premio da raggiungere, solo i secchioni puntavano a un 7. Il voto 8 era il top, ma sotto sotto, nei normoscarsi covava il dubbio che fosse influenzato da parentele o amicizie o altro.
Tutto ciò visto con l’ottica attuale, dove tutto puzza di brogli e in cui, mai come oggi, pecunia non olet; laddove il denaro ha preso l’abito del potere, con il corollario di favori e privilegi il cui ‘profumo’ viene saltuariamente percepito dalla giustizia che li dovrebbe punire.
Giustizia a sua volta affatto esente dagli stessi ‘peccatucci’ che dovrebbe perseguire.
Il territorio dell’Italia è abbastanza chiaramente delimitato da alcuni mari e da altrettanti monti.
Dovrebbe essere di circa 300 mila chilometri quadrati, ma all’epoca non lo sapevo, come non sapevo quanto potessero valere in metri o centimetri; peggio ancora se quadrati.
Avessi saputo quelle cifre, credo che avrei spuntato perlomeno un 6- in geografia.
In seguito, quando le conoscenze si accumulavano, mi sono chiesto se in quel chilometraggio fossero comprese le superfici delle ambasciate e dei consolati, i natanti, gli aeromobili, le cassette di sicurezza e i conti bancari all’estero, battenti la nostra bandiera.
Ovunque ci sia un italiano, mi son detto, è Italia.
I due isolotti in centro Italia, che si fregiano del titolo di Stati, sono o meno territori italiani?
La nostra geografia, a quel tempo, era supportata più dalla lettura del Cuore di De Amicis, certo più interessante dei nomi di monti fiumi mari città che forse mai avremmo visto; quel libro sbrigliava le fantasie: di volta in volta eravamo i piccoli personaggi ivi descritti, soprattutto quelli che esprimevano eroismi o sentimenti patriottici, rimasugli di quello che fino a poco prima erano sentimenti comuni. Quanto poco spontanei lo avremmo scoperto poi…
Raccontare l’Italia dopo avere letto i viaggi di Goethe e quello di Pavese, e quelli di altri soprattutto stranieri, non è impresa facile; chiaramente non c’è pericolo possa trattarsi di plagio, essendo tutti assolutamente inimitabili. Cielo, quanto da loro descritto poco è cambiato o, se lo è, lo è in peggio. Penso alle sporcizie non metaforiche di Venezia e Palermo, citate da Goethe, o, sempre dallo stesso, la descrizione dell’allegra cialtroneria napoletana, a margine della quale quasi giustifica il nichilismo lavorativo dei partenopei, dando soprattutto al clima la responsabilità di questo.
C’è da dire che Goethe ha girato l’Italia guardando in particolare le opere d’arte, i panorami marini e montani, raramente abbassando lo sguardo a filo di terra; quando lo ha fatto gli è venuta spontanea la critica alle dette città.
L’Italia è un Paese grande.
Ed è, indubbiamente, geograficamente bello.
Leggenda vuole che il Padreterno l’abbia creata dopo sei giorni di faticoso assemblaggio di tutto l’Universo.
Era il settimo giorno, quello che la stessa leggenda dice che avrebbe dovuto essere dedicato al riposo; a un giusto riposo dopo una faticaccia del genere, che manco i cinesi…
L’Italia può essere definita come il frutto di un momento di relax del sommo Fattore, un po’ quello che succede oggi recandosi a una partita di pallone, a una nottata in discoteca, a una sbronza al pub… quando si cerca, uscendo sovente di testa, di annebbiare la fatica della settimana con un qualcosa di diverso.
Succede, troppo sovente, che per alcuni sia quello l’ultimo giorno, sia di lavoro che di relax…
C’è chi ritiene che quel giorno di riposo poteva essere meglio impiegato, ma sono malignità di invidiosi, contrastati dai milioni di visitatori che vengono a vedere il capolavoro del settimo giorno e quelli irripetibili creati da sue creature in tempi affatto tecnologici.
L’Italia è un Paese grande.
In passato è stato impero, possedeva alcune colonie africane, in cui ne ha fatte un po’ di tutti i colori, di cotte e di crude, ma di queste marachelle nei libri di storia se ne parla poco, preferendo dare spazio al poco di bello e utile che colà venne fatto.
Abbiamo perso le colonie, ma siamo rimasti impero: impero autarchicamente interno.
Subito dopo l’ultimo conflitto, adottato lo stendardo di Repubblica, più che altro per essere alla moda, le fette dell’Italia erano ufficialmente dette Regioni.
In realtà erano colonie, anzi feudi…
Nelle colonie era prevista la presenza di un viceré, designato dall’imperatore di turno; ciascun viceré si formava la sua piccola corte di fedelissimi, un gruppetto di addetti alla sua sicurezza personale, e tanti rigagnoli preferenziali che sarebbero stati utilizzati alla bisogna.
Nei feudi repubblicani è previsto un governatore, ufficialmente designato dal popolo che andrà a governare; per tutto il resto l’apparato è identico a quello del viceré.
Ci sono feudi ricchi e feudi meno ricchi; questi ultimi si arrangiano con intrallazzi di vario genere, suggendo il latte da qualunque mammella provenga, riuscendo così a vivere bene senza colpo ferire; poi ci sono feudi letteralmente poveri, con risorse talmente limitate da essere costretti a elemosinare le briciole degli avanzi dei feudi Epuloni.
In periodi non ben determinati, in tutti questi feudi è prevista la chiamata del popolame che dovrebbe giudicare se il gruppo governante abbia operato bene o malamente.
Quelle chiamate sono pomposamente dette elezioni, libere elezioni, espressioni decisive per la conferma o l’alienazione del governatore in causa.
Come nelle migliori tradizioni medievali, in queste occasioni ciascun feudo cerca di allargare il proprio orticello, e c’è la corsa ad accaparrarsi sempre più territori, allo scopo di ampliare il margine di trattativa per ottenere dall’imperatore benefici, da aggiungere a quelli già in dotazione.
Quasi come nel medioevo, la lotta per le vittoria è all’ultimo ̷s̷a̷n̷g̷u̷e̷ voto; in effetti ogni nuovo voto acquisito è una fleboclisi di potere rigenerante.
L’Italia è uno Stato bersagliere, quando:
… dove gemono i dolori,
primo accorre il bersagliere,
che dà al misero i tesori
di bontade e di fermezza.
Siamo la sacra madre Patria, che mostra la sua vera grandezza non appena un proprio figlio si trova accerchiato dal male.
All’estero…
Lo ha dimostrato con quelli che genericamente definisco “fatti cinesi”.
Sinteticamente: un gruppo di italiani, in Cina per motivi di studio, a rischio di contagio da virus, peraltro da noi ancora poco sconosciuto.
Presente: un aereo militare, adeguatamente attrezzato per evitare ogni possibilità di contagio viene lanciato quale salvagente, per riportarli in seno alla madre patria.
Bene! bravo! bis!, avrebbe declamato Petrolini.
Era rimasto a terra uno studente, poche linee di febbre, pare dovute al freddo di una stanza, non chiaramente contagiato, ma la prudenza aveva consigliato di non metterlo con gli altri.
Così erano cominciati i suoi ‘dolori’, la febbre era scomparsa, i test antivirus erano negativi, si era reso possibile il suo rientro.
Presente: aereo, sempre militare, attrezzato in maniera stratosferica, personale medico di prim’ordine; piloti e personale regolarmente scafandrati, barella con vista panoramica… Detto, fatto.
Con il supporto beneaugurante del vice ministro alla sanità, con la presenza del ministro degli esteri in trepida attesa all’aeroporto, con i media pronti a raccontare ogni minuto dell’avventura… Nessuno che abbia lamentato la mancanza a bordo di almeno un’Eminenza che desse il conforto della fede a un ragazzo che, pur essendo in ottima salute, doveva apparire al mondo come quasi spacciato.
Questo ragazzo, poco che si sappia gestire, ha un avvenire radioso. Nell’immediato, trascorsi i canonici giorni di quarantena precauzionale, ci sarà una presenza asfissiante in ogni salotto televisivo, dove racconterà la sua avventura, dandole una zimarra di eroismo, che solo cuori di ghiaccio non avrebbero apprezzato. Ancora Petrolini: bene! bravo! tris!
Infatti era in rampa di lancio un terzo volo, mirante al recupero di un gruppo di turisti italiani, quarantenato su una nave da crociera, ormeggiata da giorni in un porto.
Lo stesso Stato bersagliere che:
… non discende dallo spalto
finché il fuoco cesserà.
Senza commentare più di tanto le dette operazioni, anche perché non ho visto appunti negativi in merito, mi permetto di sperare che lo Stato bersagliere prima o poi discenda da quello spalto per prendere atto di cosa sia la coerenza nel confronto tra il trattamento di un cittadino che dall’estero chiede aiuto, essendo in discrete condizioni di salute, e i milioni di italiani in patria che la salute l’hanno persa e chiedono a quello stesso Stato solo un pizzico dell’interesse dimostrato in questa occasione.
Se il bersagliere discendesse dallo spalto vedrebbe le decine di ospedali soppressi, i posti letto radicalmente ridotti, il personale sanitario in una situazione di precariato perenne, i mezzi di pronto soccorso fuori uso senza possibilità di recupero poiché, essendo datati mesozoico, non esistono pezzi di ricambio o tecnici artigiani con capacità d’intervento, attrezzature che mezzo secolo fa erano di prim’ordine e che ancora sono considerate tali nonostante siano marcescenti per la la ruggine… Verrebbe a sapere di gente che muore dopo essersi visto rifiutare, più volte e in nosocomi diversi, il ricovero, tutti giustificati dalla mancanza di posti letto.
Se scendesse dallo spalto, tutta la sua grandezza, quella messa in mostra a solo uso del resto del mondo, si sgretolerà, sarà come neve cui il sole fa brillare i diamanti di ghiaccio per dissolverla in tempi brevi, trasformandola in pozzanghera.
Potrebbe mettere in agenda una revisione totale del sistema sanitario nel suo complesso, uniformandolo al meglio, e usando la scure dei tagli solo nei casi di conclamata inefficienza o di chiara inutilità sul territorio.
Ma non lo farà: preferirà godersi gli attimi di effimera gloria, costruiti ad arte da astuti sceneggiatori, esperti, appunto, nella creazione di sceneggiate, un tempo prerogativa tipica dei comici.
Pensavo: tutti questi nostri preziosi connazionali probabilmente avranno dovuto stipulare l’assicurazione a copertura di eventuali intoppi, sia nel gruppo di studio che in quello turistico.
Ovviamente, questa, non sarà stata chiamata ad alcun intervento di supporto sanitario, visto che tutti gli interessati godevano di buona salute. E non mi risulta che le assicurazioni risarciscano ansie e paure (più che giustificate, per carità!), se non in presenza di malanni o accidenti chiaramente identificati.
Per cui i tre raid saranno totalmente a carico del convento… per la gioia di chi è rimasto in patria; e, visto l’andirivieni di aerei, per la goduria della Greta, da un po’ di tempo in sonno.
Cara Maestra delle mie elementari, questo è il mio svolgimento, questa è l’Italia che oggi posso raccontare. Non avrò più il tuo voto, diciamo che sarebbe un ex voto, di quelli che un tempo si appendevano nei santuari per grazia ricevuta o per scampati pericoli.
Grazie ne ho ricevute poche, e quanto a pericoli scampati, cara vecchia Maestra, sai meglio di me che l’Italia è ormai tutto un succedersi di pericoli; scampato uno, non fai in tempo a tirare un sospiro di sollievo che alla porta ne bussa un altro.
In Italia oggi si può (soprav)vivere, amarla diventa sempre più difficile.