Questo è il mio sangue. Francesco Mercadante e il suo Gesù paradossale

Recensione di Martino Ciano
Yeshùa si pone in cammino per conoscere la sua umanità, perché solo attraverso questa può andare oltre e portare fuori dalle mura dell’esperienza mondana la sua parte divina.
Se è vero che gli uomini sono “dei”, allora la maggior parte ignora la propria natura spirituale, nonostante le trasfigurazioni che compie, ma che non sa riconoscere e di fronte alle quali non riesce ad esaltarsi in quanto miope.
Il Gesù di Mercadante è scandaloso. Non porta la pace, non è sopraffatto dall’amore. È colui che getta la spada al centro di una arena e lascia che i due contendenti si accapiglino per recuperarla. Così è la sua parola, chi l’accoglie deve sperimentarla, deve viverla, deve incarnarla, deve combattere contro sé stesso. La parola non si ascolta solo, ma va depositata nel profondo dell’anima. La parola fa soffrire, richiede un sacrificio totale, non si può vendere o comprare.
È un romanzo paradossale, ma soprattutto coraggioso quello di Mercadante, perché non ci pone di fronte a un Gesù di circostanza, taumaturgo, ma che raggiunge la sua divinità attraverso l’accettazione e il dissolvimento della sua umanità. La sua Missione è un Cammino che dalla Terra porta al Cielo, con l’obiettivo di unire questi estremi.
Il sangue di Yeshùa è prima di tutto il sangue di un uomo che dopo il suo cammino diventa spirito. Non c’è altro modo se non questo per vedere il Regno, che parte dalla Terra e di lei necessita.
Il libro di Mercadante è un libro che va letto con attenzione e che va interpretato come un “guardare oltre” la canonicità della figura di Gesù, maestro prima di tutto del dramma di un’umanità che ha dimenticato la propria matrice divina.