Quando ottenere la patente era un’avventura
Articolo di Gattonero
Sei mesi fa ho compiuto cinquantasette anni.
Di patente.
Il tempo che passa porta ai ricordi; talvolta basta un profumo, un caseggiato, una strada, una piazza, l’incontro con una persona non vista da tempo, una lapide al cimitero…
E il pensiero corre all’indietro, quando scuola guida per la patente l’avevo “fatta” io. Il conseguimento della patente era una tappa fondamentale di un regolare percorso di vita. Era il passo immediatamente successivo al servizio militare di leva: da questo in poi si era ufficialmente maggiorenni e, teoricamente, responsabili delle proprie azioni. Peraltro mai del tutto padroni di queste… allora.
E, a quei tempi, gli esami per ricevere la patente erano severissimi: o eri all’altezza o il “torni tra un paio di mesi” era da mettere in conto.
Programma per il giorno dell’esame, un sabato mattina: per trovarmi riposato avevo lavorato solo fino a mezzanotte; alle 8,30 era previsto l’esame di teoria seguito dalla prova di guida. Una volta liberato da quell’impegno avevo in programma un viaggio in treno per partecipare al matrimonio di un caro amico. I biglietti si dovevano prendere alla biglietteria della stazione, non esistevano ancora le prenotazioni, tanto meno l’online.
E i tempi per fare tutto erano a rischio accavallamento.
Avevo chiesto eroicamente di essere il primo della lista dei morituri. Concesso, senza ultima sigaretta…
La teoria non mi preoccupava: c’erano le schede stampate su cartoncino, le avevo imparate a memoria e all’epoca i vuoti di questa non erano frequenti. Proprio dopo qualche leggera bevuta con amici, senza timore di incocciare in etilometri stradali, meno che mai andando a piedi o in tram.
La vettura: la stessa già bene ‘imparata’ nelle guide di allenamento, ottima cosa. Davanti, io alla guida con l’ingegnere a fianco, munito di una cartella rigida su cui scriveva (manualmente, erano altri tempi) i punteggi assegnati a ogni manovra; dietro, il titolare della scuola guida e la seconda vittima. Che mi sarà stata grata nei secoli per come le avevo fatto vedere come non si debba guidare; perlomeno non a un esame di guida.
L’esame: come da copione, partenza col freno a mano tirato; non che fosse importante, la partenza avveniva ugualmente, visto che era bruciato da centinaia di start con questo inserito, ma all’ingegnere la cosa non era piaciuta. E me lo aveva fatto delicatamente notare…
“Svolti a destra”. Svoltato.
“Se hanno messo la freccia anche per la destra, forse è per essere messa, non le pare?”. Freccia a destra messa.
“Ma adesso siamo in rettilineo, se mette la freccia è per accostare. Deve accostare?”. Non dovevo accostare, via la freccia.
Incrocio. Fatto cento volte con Gastone, l’istruttore, sapevo di avere la precedenza: avevo tirato dritto senza tentennamenti, e forse questa era stata l’unica mossa buona che mi aveva salvato dalla bocciatura secca.
“Accosti a destra”. Non c’era marciapiede, c’era il muro di un caseggiato; avevo accostato in maniera perfetta, lasciando tra la vettura e il muro lo spazio esatto per aprire lo sportello della macchina. Dalla parte dell’ingegnere, nel caso avesse deciso di scendere…
“Ma i pedoni devono andare sulla carreggiata o sul marciapiede?”.
“Ma il marciapiede non c’è…”.
“Scenda, buona giornata”.
Per lasciare l’abitacolo avevo messo la freccia a sinistra; non saprò mai se ci aveva fatto caso, e, se sì, se avesse apprezzato la delicatezza della manovra.
Eravamo in zona scuola guida, avevo firmato di corsa l’avvenuto esame ed ero andato a prendere il tram diretto alla stazione.
Naturalmente, allora, gli ingegneri non si sbottonavano sull’esito delle prove, quindi ero partito col magone: ce l’avrò fatta? Nel bel mezzo del matrimonio, avevo cercato un telefono e chiamato il titolare, Prospero, per avere il responso.
“Cazzate ne hai fatte, perfino sufficienti a far bocciare anche quelli che hanno fatto l’esame dopo di te… Comunque è andata!”.
Promosso, al primo colpo!
Io, sinceramente, non mi sarei promosso; ma evidentemente quella che a me era sembrata una somma di errori, per l’ingegnere erano errorucci, bagatelle di gioventù, ansia da prestazione, ‘è giovane (forse) si farà‘.
En passant: qualche mese prima avevo conosciuto Prospero in treno, entrambi diretti verso la stessa destinazione. Tra una parola e l’altra mi aveva invogliato a prendere la patente, meglio se nella sua autoscuola. Lungi da me il pensiero che avesse messo una buona parola presso l’esaminatore. Credo, invece, che di parole buone ne abbia dovute mettere molte, e forse assai di più…