Principio di non colpevolezza

Articolo di Gianfrancesco Caputo

Il Ccnl delle funzioni centrali dello stato, recentemente sottoscritto dalla parte datoriale e dalle organizzazioni sindacali (la firma acritica del contratto, come si potrà vedere più avanti, risulterà alquanto grave da parte delle OO.SS.) all’art.43 comma 9 punto 2 lett. e) così recita:

9. Ferma la disciplina in tema di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, la sanzione disciplinare del licenziamento si applica:
2. senza preavviso per:
e) condanna, anche non passata in giudicato:
– per i delitti indicati dall’art. 7, comma 1, e 8, comma 1, del d.lgs. n. 235/2012;
– quando alla condanna consegua comunque l’interdizione perpetua dai pubblici uffici;
– per i delitti previsti dall’art. 3, comma 1, della legge 27 marzo 2001 n. 97;
– per gravi delitti commessi in servizio.

Una norma contrattuale che solleva non poche perplessità. Come lo stesso dicasi per le fattispecie similari quali per esempio il “Decreto Severino” (nel quale si contempla la condanna, anche non passata in giudicato, come causa di decadenza da ruoli politici di tipo elettivo) giustamente sottoposto a referendum abrogativo al fine di ristabilire il giusto mezzo.

La formulazione della norma contrattuale è censurabile laddove non abbia previsto la sospensione cautelare ma il provvedimento interruttivo del rapporto di lavoro a fronte di una sentenza non ancora passata in giudicato e, come tale, ribaltabile e/o cassabile.

Il punto dolente è chiaro: se la sentenza non è passata in giudicato, esiste un principio di non colpevolezza che è previsto in una fonte di rango costituzionale ovvero l’art. 27 della Costituzione della Repubblica italiana.

Quindi provvedimenti tendenzialmente definitivi (quale il licenziamento) fondati su sentenze non passate in giudicato, previsti da leggi o altre fonti (Ccnl) comunque subordinate alla Costituzione, entrano in rotta di collisione con un principio fissato nel nostro ordinamento da norma costituzionale, indi di rango superiore.

Non ci può essere un provvedimento tendenzialmente definitivo se giuridicamente si è ancora in stato di presunta non colpevolezza.

Non è neanche accettabile che la norma contrattuale possa ritenersi costituzionale poiché, quale che siano le previsioni anche a livello di Ccnl, la legge (il D.lgs. n.165/2001 Testo Unico sul pubblico impiego) ha comunque previsto che, ove la sentenza non passata in giudicato venga poi ribaltata, sorge un diritto immediato al ripristino del rapporto di lavoro e alla conseguente riammissione, sicché il licenziamento cadrebbe e sarebbe da considerarsi “tamquam non esset.”

In sostanza il licenziamento o la sospensione cautelare non avrebbe diversità di effetti sul piano pratico. Dimenticando però che formalmente la sospensione è una cosa e il licenziamento è altro, tant’è che in tale ultimo caso occorre un atto di impulso da parte del lavoratore licenziato, magari ingiustamente, per ricostituire il rapporto.

Ecco perché è possibile parlare di provvedimento tendenzialmente definitivo, che comporta inoltre un gravissimo danno economico derivante dalla privazione della remunerazione, privazione che andrebbe a creare serissimi problemi di sussistenza al lavoratore e alla sua famiglia, in attesa del processo di appello che magari lo vedrà addirittura assolto.

Non sfugge a nessuno che il bene giuridico in gioco è la presunzione di innocenza: l’imputato non può essere considerato colpevole prima di una condanna definitiva.

La condanna si considera “definitiva” solo quando non può essere più impugnata, o perché il giudizio ha percorso tutti i gradi di giudizio (Appello e Cassazione) o perché sono scaduti i relativi termini per l’impugnazione.

Si tratta di un principio di civiltà giuridica proclamato dall’art.27 della Costituzione e palesemente violato dall’art.43 comma 9, punto 2, lett.e) del Ccnl. Pertanto qualsiasi lavoratore pubblico condannato in primo grado, quindi con sentenza non passata in giudicato, si troverebbe ad essere ritenuto dalla collettività alla stregua di un criminale e per giunta licenziabile senza alcuna garanzia da parte sindacale, visto che sono gli stessi sindacati ad aver consentito l’indebita infiltrazione ideologica e giustizialista che ha prodotto un “monstrum” giuridico, che lascia il tempo che trova preso atto del giudizio referendario e democratico a cui sarà soggetto l’analogo “Decreto Severino”.

La presunzione di innocenza, seppur chiara e pacifica per la legge, non lo è purtroppo per l’opinione pubblica. Sappiamo infatti quanto possa incidere sul pregiudizio popolare la notizia di un avviso di garanzia o di un rinvio a giudizio. Inutile nascondersi dietro un dito: la nostra diffidenza nei confronti del prossimo ci gioca brutti scherzi fino a quando non siamo noi stessi gli imputati. Partiamo da una presunzione di colpevolezza non appena veniamo a sapere di un’inchiesta penale, complici anche i giornali che danno in pasto ai lettori solo le notizie più eclatanti, quelle cioè relative agli arresti e agli avvisi di garanzia, tacendo poi la successiva assoluzione. Eppure, il più delle volte, gran parte delle indagini e dei processi non portano alla condanna dell’imputato, senza che di ciò però si sappia nulla. Qualcuno ha ironicamente detto che in Italia, ogni mattina, si aprono più inchieste che finestre. Non aveva torto. E questo succederà fino a quando esisterà una prevalente ideologia giustizialista impiantata anche nei Contratti collettivi di lavoro, che una volta erano sinonimo di autonomia negoziale e che oggi, a quanto pare, devono essere considerati alla stregua di atti meramente notarili.

Proprio per rafforzare le tutele dell’imputato e dell’indagato, il nostro ordinamento giuridico ha recepito la direttiva Ue n. 2016/343 che prevede una serie di garanzie volte a non presentare prematuramente come colpevole il soggetto sottoposto a indagini o a un procedimento penale. È stato introdotto il divieto per le pubbliche autorità (concetto nel quale far rientrare non solo le forze dell’ordine ma tutti i funzionari pubblici) di presentare prematuramente come colpevole la persona sottoposta a indagini o imputata in un procedimento ancora in corso. In questo modo, anche la stampa non potrà adottare formule che possano ingenerare equivoci nei lettori. Chi legge le notizie deve ben comprendere che l’avvio di un procedimento penale non significa colpevolezza.

Pertanto, fino a quando la colpevolezza di un imputato non è stata provata definitivamente, le dichiarazioni pubbliche e le decisioni giudiziarie diverse da quelle sull’attribuzione di responsabilità penale non devono presentare la persona interessata come colpevole. Dunque se anche l’Unione Europea si preoccupa di tutelare il quadro complessivo dei diritti dell’indagato e dell’imputato, la medesima cosa non è oggetto di preoccupazione delle OO.SS. e della parte datoriale che sono gli estensori dell’art.43 comma 9 punto 2 lett.e) Ccnl funzioni centrali: il lavoratore pubblico non ha diritto a conservare il posto di lavoro se condannato in primo grado e quindi non definitivamente, ciò in aperta violazione dell’art.27 della Costituzione.

Il principio di presunzione di non colpevolezza contenuto anche nell’art. 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea implica non solo il diritto di ciascuno di non essere considerato colpevole prima di una pronuncia definitiva, a tutela della sua onorabilità, reputazione ed integrità fisica (artt.2, 3 Cost.; art. 3 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea), ma anche il diritto a non vedersi inflitte sanzioni restrittive della libertà personale se non dopo la condanna definitiva. Ad adiuvandum: l’art. 6, co. 2, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in base alla quale “ogni persona accusata di un reato è presunta innocente sino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata”. Invece l’art.43 comma 9 punto 2 lett. e) Ccnl funzioni centrali, infligge la sanzione definitiva del licenziamento prima dell’affermazione definitiva di colpevolezza.

Infine l’art. 55-quater del Dlgs 165/200 “Licenziamento disciplinare” così recita: “ferma la disciplina in tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo e salve ulteriori ipotesi previste dal contratto collettivo, si applica comunque la sanzione disciplinare del licenziamento nei seguenti casi: alla lettera f) condanna penale definitiva, in relazione alla quale è prevista l’interdizione perpetua dai pubblici uffici ovvero l’estinzione, comunque denominata, del rapporto di lavoro.” Pertanto la formulazione dell’art.43 comma 9 punto 2 lett. e) Ccnl cosi come esaminata fino ad ora, oltre ad essere palesemente in violazione dell’art.27 della Costituzione e altrettanto palesemente “contra legem” in quanto in aperta violazione dell’art.55-quater del Dlgs 165/2000 Testo unico sul Pubblico impiego, il quale prevede per l’applicazione del licenziamento disciplinare senza preavviso l’esistenza di una condanna penale definitiva e non una condanna “anche non passata in giudicato.”

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