Polvere di sabbia. Francesco Di Giorno tra il Sud e l’umanità perduta
Recensione di Martino Ciano già pubblicata per Gli amanti dei libri
Non possono avere un figlio, eppure lo vogliono, senza non riuscirebbero a sentirsi completi. Sara e Renato faranno di tutto per diventare genitori, senza pensare al dopo, ai rimorsi. Tino invece è un bullo di provincia che, per vincere la sfida con la sua insicurezza, diventa un criminale, un boss senza scrupoli. Su di loro, compresi gli altri personaggi di questo romanzo, aleggia una domanda: è tutto lecito quando bisogna raggiungere la propria felicità?
Il romanzo di Francesco Di Giorno è una storia di colpi atroci che vengono somministrati al lettore attraverso un linguaggio delicato. È una forma atipica, ma vincente quella usata dall’autore di origine calabrese, in cui si avverte la necessità di raccontare accarezzando. È una parola intima, soffice, quella che delinea la crudeltà dei personaggi del libro, come se volesse svelare la parte in ombra dei loro cuori.
Dietro la brutalità di Tino vi è un dolore complesso, profondo, che non lo rende migliore, ma lo rende vendicativo. Nella necessità di avere un figlio di Sara e Renato c’è un egoismo adolescenziale, un istinto di sopravvivenza che fa fuoriuscire l’intima natura dell’uomo. La penna di Di Giorno è delicata, corre via senza giudicare, a lei piace mostrare, raccontare tutto come se fosse una favola, anzi qualcosa di assurdo.
Assurda è infatti la crudeltà, visto che ogni vita si disperde come polvere di sabbia nel tempo e nello spazio. Cosa rimane d’ogni esistenza? Nulla di particolare. A cosa serve affaccendarsi per il male?
Di Giorno ambienta tutto in un paese di provincia, lui che è nato sul Tirreno cosentino, nella Calabria dei silenziosi mea culpa, dipinge quel male sottile che si usa anche come mezzo di riscatto, oserei dire come arma di una atavica lotta di classe che contrappone indolenza e supponenza. Non c’è solo Tino, ma anche personaggi che come lui amano l’omertà e la connivenza, affinché tutto resti immutato e controllabile. Così, il male appare quasi come una fatalità, un demone che non si sconfigge ma si accetta, di cui ci si fa carico senza prevenirlo. E anche Sara e Renato, nonostante provengano da Milano, trovano in questo borgo del Sud il luogo ideale per portare a termine il loro piano.
Sorge qui una contraddizione, proprio loro che vogliono un figlio, quindi la vita, cercano tutto ciò nel luogo in cui la vita è solo una merce, un mezzo aleatorio da sfruttare e ingannare. Anche su questo elemento, Francesco Di Giorno ci chiama a una profonda riflessione.