Due poesie inedite di Mauro De Candia

Due poesie inedite di Mauro De Candia

Poesie e foto di Mauro De Candia

Perform perfume

Di te ricordo
il balbettio vivace delle mani,
l’utilizzo rettilineo della chimica sociale
e i tuoi avambracci di neve.

Di te ricordo
l’incesto di giostre olfattive,
la performance lubrificante del profumo.

Nel Kabukichō l’umanità
mastica i nomi con le dita,
e con le dita
orla le labbra di meduse oscene:
esplodiamo nei taxi notturni,
dondoliamo sui bordi delle fiamme ossidriche,
voliamo nelle vasche disidratate
e poi fuggiamo come iene scarnificate,
con la coda attorcigliata
al Vecchio Piccolo Mondo,
il muso glabro ad azzannare il Vuoto.

Grondiamo di punti
e pause brevi,
non parole.

Di te ricordo il profumo
di alloro e kajal sulla lingua,
e la parola, impastoiata in un suffisso,
che dalla tagliola restò amputata:
“-ness”.

Poi la performance, terminata,
trapassò in un viso:
“Happy-” (sistole),
“Sad-” (diastole).

E incastonare le parole in una,
in dieci o in centomila?

Non c’è certezza:
solo l’odore resta
sui fianchi ciechi
di corpi abbandonati
in trasparenza.

*

La Signora della pioggia

La Signora della pioggia
posò la mano diafana e metabolica
dalle sterminate dita istantanee
sui lividi azzurri delle finestre irsute,
pennuta o floreale con le unghie, a rovistare
nelle case spiando Buddha lussuriosi
e oziosi cherubini, ticchettando a sputi d’acqua,
e snocciolava a tuffi, in glassa zuccherina,
moltiplicata in coro, molestie ai comodini:

«Vorresti anche tu un nome?
Vorresti anche tu un nome?
Un falso-falso nome
Un falso-falso nome?».

E si fece mareggiata felpata di fate,
bussando cavernosa col bastone del sogno
nello sterminato sterno dei villaggi contemporanei,
e scavò trincee nelle fughe trafugate
dalle rughe serpentine della carne scannata,
e divorò il rettile nero di lacci
che ha un nido secolare nelle tue stesse scarpe supine
rimaste ad ubriacarsi ai davanzali del cielogrigio.

La Signora sbottonava le case,
liberava dall’ossigeno manichini tribali,
disangolava le ginocchia del bestiame umano,
ingrossava l’urlo, scoppiava:
la forma poetica dell’oggetto è ovunque,
osando l’artificio invisibile.

Nelle città sotterranee del Fuoco,
nel futuro indicibile,
si rifugiava la prosa.

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