Poèsia. Virtualmente distratti

Poèsia. Virtualmente distratti

Articolo e foto di Riccardo Sapia

La conoscete la storia dei due amici che si conobbero così, per caso, saltati fuori l’uno all’altro tra una miriade di anonimi contatti su una piattaforma social?

No? Bene! Si tratta della storia di Ivan e Giovanni, i quali, dopo essersi “riconosciuti” su questo pianerottolo, intendo, dopo avere ritrovato sé stessi l’uno nell’altro all’interno del social più diffuso, intraprendono una vera e propria “relazione” intellettuale: stessa ironia, stesse opinioni, stessi interessi e, soprattutto, stesse letture. Le giornate sempre scandite dai “tin” della messaggistica social. A qualsiasi ora e in qualsiasi contesto i due sentivano un reciproco bisogno di condividere il loro vissuto quotidiano. Iniziavano la mattina, praticamente all’alba, un saluto, un ricordo, un brano del libro in lettura, tutto era potenzialmente occasione per comunicare reciprocamente. Desiderio, passione, gioia erano i sentimenti che muovevano i due giovani amici.

Poco alla volta, dai messaggi scritti passano a quelli vocali, con i quali riescono a comunicare un maggior numero di informazioni in minor tempo, con la promessa di sentirsi telefonicamente il prima possibile. I “tin” in determinate ore della giornata si fanno più frequenti che in altre, sono le ore in cui uno dei due amici si ritrova, magari, più libero da impegni di lavoro. Peccato che della stessa libertà non ne possano godere entrambi nello stesso momento. Ivan, il settentrionale, si ritrova spesso impelagato fino a tarda ora, per cercare di smaltire le richieste dei suoi clienti. E così, per questa mera ragione, di casuale diacronia, cominciano ad accumularsi vocali su vocali, con l’auspicio di ascoltare successivamente tutto il pregresso. Capita, però, che alcuni messaggi inizino a saltare, vengono a mancare della cosiddetta fase dell’ascolto. Malgrado tutta la buona volontà e le buone intenzioni vengono praticamente ignorati, cadendo miserevolmente nel cosiddetto dimenticatoio.

Il caso volle che nei primi due messaggi finiti nell’oblio Giovanni confidava una seria preoccupazione che gli aveva sottratto serenità alle sue giornate, trasformandole in una corsa a ostacoli, fino a diventare, gli stessi, concretamente insuperabili. Si trattava di un problema familiare che riguardava il figlio grande, finito in un brutto giro. Aveva dovuto costringersi parecchio per riuscire a trasformare in parole la sua angoscia ma la confidenza acquisita gliene aveva dato la forza. Non solo, una volta presosi di coraggio, questo accadeva nel secondo messaggio, era arrivato a raccontare aneddoti del suo passato che non aveva mai confidato a nessuno prima di allora.

I giorni seguenti, purtroppo, vengono scanditi da sporadici “tin” di links, di foto o, più frequentemente, di brani musicali che, a dirla tutta, avevano un mero scopo riempitivo.

Dopo qualche settimana, la frequenza di una volta inizia a scemare sempre più fino a diventare sporadica e trasformarsi poi in vera e propria assenza. Giovanni, orfano di una qualsivoglia replica alle sue precedenti “confessioni”, caduto in una profonda disperazione, invia un ennesimo messaggio vocale in cui manifestava la volontà di togliersi la vita, proprio così, aveva scritto testualmente “la vita mi è diventata insopportabile, non ce la faccio più, caro amico, ho deciso di farla finita”. Praticamente gli confidava la sua incapacità a far fronte a qualcosa più grande di lui, un profondo senso di angoscia, un laccio stretto intorno alla gola. […]

Soltanto silenzio, uno di quei silenzi che diventano consuetudini cui, ahimè, ci si abitua tutti senza nemmeno rendercene conto. Per impegni, per distrazione, infine, perfino per pigrizia. Un silenzio che col tempo aveva acquisito le sembianze di un vero e proprio ripudio. […]

Col passare dei giorni, però, Ivan, “rinvenuto” dallo stress che lo aveva tenuto, e mantenuto, distante, inizia a chiedersi perché l’amico non si facesse più sentire, non capiva che fine avesse fatto. Passano altri giorni e, visto il perdurare del silenzio ai suoi messaggi, decide di chiamarlo, cosa che non faceva, ahimè, da parecchio tempo. Il telefono, però, risulta sin da subito spento, addirittura è come se la linea fosse staccata. Riprova più e più volte durante la giornata, ma niente, sempre e immediatamente lo stesso medesimo suono, quello del ritmico e monotono segnale di occupato, TUU-TUU-TUU.

Sono passati circa tre mesi e Ivan riesce finalmente a liberarsi, a ritagliarsi uno “spazio” da dedicare, nella sua testa, all’amico oramai irreperibile.

Che vuoi che siano un paio di giorni? – pensa tra sé, col presentimento, però, che molto probabilmente avrebbe scoperchiato un “pentolone di acqua bollente”, mettendo se stesso a serio rischio di farsi del male.

Prenota il primo volo per Bari, da lì in un’ora, un’ora e mezza, avrebbe raggiunto Lecce. Arriva in aeroporto con largo anticipo, si concede un caffè in totale relax al bar dell’aerostazione. Nel frattempo, si dedica ai social, da tanto tempo trascurati. Scrolla i post con aria svagata e per nulla incuriosita, aggiungendo, qua e là, un “mi piace”. Giusto per comunicare che c’è, che è ancora lì, presente, partecipe della vita pantagruelica di tutti quegli Ego giganti che ingombrano il web. A un tratto, i suoi occhi cadono su un commento della mattina a un vecchio post di Giovanni (Facebook ha questa caratteristica, ti fionda nella home avvisi di recenti attività a post anche passati dei tuoi amici preferiti cui anche tu, magari, avevi a suo tempo replicato. Frasi come “anche Tizio ha commentato il post di Caio”, per poi scoprire che lo stesso risale magari a cinque anni fa). Insomma, il commento recitava “Questa non avresti dovuto farla, ci hai lasciato increduli e senza parole, è un grande dolore, amico nostro”.

Questa volta, però, non si trattava di un post cui anche lui, Ivan, aveva commentato. Si trattava di uno che aveva ignorato. Per stanchezza, per pigrizia, per assenza di tempo ma, soprattutto, per assenza di curiosità, gli era scivolato via senza riuscire a fermare la sua attenzione. E anche quello, il post in questione, conteneva un messaggio, era una poesia, il messaggio di un’anima senza orizzonte, un’anima che non vede più la luce:

Non chiedermi l’amicizia,
non ho nulla da offrire.
Non chiedermi l’amicizia,
non sono un esempio da dare.

Non chiedermi l’amicizia,
sono un uomo senza forza e coraggio,
mi sento più un cane randagio
e nemmeno ho più fame d’amore.

Non chiedermi l’amicizia,
non so più dove sto di casa,
conosco soltanto questa strada
che mi ha privato di ogni letizia.

Non chiedermi l’amicizia,
sono un uomo senza passato,
ti condanneresti alla noia,
a una vita senza gioia.

Non chiedermi l’amicizia,
non ne vale la pena,
la mia vita non è affatto serena,
anzi, sai? Non lo è mai stata,
è già tanto che sappia cosa dica.

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