Un caffè in due. Nicola Vacca e la poesia dell’amore rinnovato
Recensione di Katia Torchio. In copertina: “Un caffè in due” di Nicola Vacca, A&B Editrice, 2022
Proprio mentre il tempo scorre, travolgendo nel suo turbinio incontrollabile le coscienze, proprio mentre l’ipocrisia paralizza le consapevolezze, Nicola Vacca canta l’amore che è un caffè in due, condivisione fisica di un segreto da gustare.
È lo squarcio del velo mellifluo di un sentimento idilliaco troppo abusato, la contraddizione dell’amore, la cenere da cui risorgere per sorridere al pianto. Una declinazione dell’amore diversa, attraverso i sensi che scivolano su pendii malagevoli. Nicola Vacca scarabocchia con slancio un bacio che è amplesso di bocche, butta sulla carta il fango del sentimento, recupera un’immagine impura, carnale e tremendamente passionale dell’amore che, come le sbarre di una cella, liberano intimamente un meraviglioso orizzonte emozionale.
Un infinito leopardianamente ostacolato da un’incontrollata passione che fa naufragare però nell’inevitabile immensità del suo contrario. Dunque un sentimento catulliano che sfugge al controllo razionale, che accetta l’invito a godere, che incontra l’attimo oraziano come ultima possibile occasione ma che è vera bellezza. Quella che acceca nella sua folgorante potenza essenziale. Quelle di Nicola sono schegge di poesia sfuggite al presente, ma che contengono l’eterno che sa vincere la caducità del tempo, la sua forza logorante e sbiadente.
Il suo è un coraggioso tentativo riuscitissimo di affrontare l’emozione, lacerandone la perfezione. Il tentativo di vincere la corsa del tempo bloccandolo, anzi spingendolo indietro, verso istinti primigeni per recuperare però il senso della vita nelle piccole, semplici cose quotidiane. Perché è questa la chiave di lettura dei versi, l’ossimorico andare avanti per tornare indietro, raggiungendo un’Itaca intatta e rasserenante. Il nostos della vita che pasolinianamente sfiora lo scandalo per regalare la purezza della normalità.
Nicola si ribella al non senso della vita, all’assurdo che ne ha preso il governo proprio come fa Sisifo nell’omonimo mito di Camus, sorridendo, risale la montagna certo poterla discendere, senza ambizioni e senza trascendenza. Da solo. Senza la pretesa di risolvere il rebus dell’amore. Lasciandosi cullare da melodie tetre che però lasciano all’azzurro la via di fuga.
Tra carezze e nudità.
Nell’odore della carne.
In un dialogo tra cuore e cuore.