Piccoli inconvenienti prima della felicità. Luciana De Palma e la vita “semplice” di Titina
Recensione di Martino Ciano
Si chiama Titina la protagonista di Piccoli inconvenienti prima della felicità. È una donna del Novecento, nata nel 1914. Ha vissuto il secolo breve con intensità e a ottantaquattro anni, prima che la memoria l’abbandoni, decide di mettere nero su bianco la sua vita.
Orgogliosa, amante dello studio, abile sarta. Lei cuce, lei si interroga, lei è una testa dura. Gli inconvenienti non sono solo prove, ma anche riti di passaggio da cui trarre ispirazione. Così la tragedia quotidiana ha sempre qualcosa di poetico, un gusto amaro che si addolcisce man mano che gira in bocca. Questo rende la vita stupore, meraviglia di fronte cui la volontà si palesa. Poco importa se non è riuscita a diventare una maestra, ma “solo” una sarta. Lei ci ha messo la stessa passione intrecciando i fili come se fossero parole, e questa forza intrisa di “magia e speranza” è figlia della necessità, della profezia: conoscere sé stessi, secondo misura.
Eccola Titina, bambina che si appassiona al sapere, poi donna che crede nella giustizia, che sa cucire come poche, che attende il ritorno del marito dalla guerra, che dà alle sue figlie una vita di consapevolezza. È laboriosa, tenace, è la storia di quel riscatto su cui l’Italia si è rifondata prima di perdere la bussola e di diventare schiava dell’opulenza senza lungimiranza. Titina invece guarda sempre al passato, all’origine. La sua provenienza, la strada che ha percorso, le tante rinunce che ha fatto, la durezza del giudizio dimostrata di fronte agli inconvenienti, una specie di atarassia meditativa che le ha consentito di superare l’ostacolo, perché soprattutto i disastri danno all’uomo la forza di cambiare il proprio destino, di imporre alla vita una decisa sferzata. La semplicità è anche riconoscere l’ombra che ci perseguita, accettarla e ogni tanto farsela amica.
Titina che mai si stanca di superare i tranelli del fato, giunge al termine della sua vita in quello stato di felicità che non è solo il raggiungimento degli obiettivi, ma la capacità di aver dato un senso all’esistenza, anche quando sembra impossibile. Ed è proprio nel momento in cui ogni senso appare oscuro che l’istinto di sopravvivenza s’agita, e i significati che se ne ricavano, le ragioni profonde che ci guidano, siano esse anche illusioni, ci caratterizzano, ci forgiano, salvano il nostro mondo e quello degli altri. E forse, proprio cucendo, Titina ha pazientemente riannodato la sua vita, le trame spezzate, i punti deboli, le sbavature, riconoscendo nelle toppe i particolari che rendono sempre bello quell’abito vissuto al quale si resta affezionati.
Luciana De Palma scrive un romanzo-confessione, in cui racchiude la forza di una donna tenace, simbolo di quel Novecento che ha cambiato in modo radicale la società italiana. Titina è la donna che attraversa la bufera della storia, che incarna la generazione post-bellica che seppe trovare la speranza tra le macerie. Ma è anche l’immagine di quella concreta emancipazione femminile, che non va troppo ricercata ma che è composta di fatti, di valori e di scelte votate al bene.
Ma nel libro c’è anche la poetica della speranza: una nenia sussurrata costantemente dalla certezza che la vita è agire al momento giusto, così come chiede il cuore.