Si vede che non era destino. Daniele Petruccioli e la visione di una madre

Si vede che non era destino. Daniele Petruccioli e la visione di una madre

Recensione di Martino Ciano. In copertina: “Si vede che non era destino” di Daniele Petruccioli, TerraRossa edizioni, 2023

Che sia andata così o in un altro modo non lo sapremo mai. Si vede che non era e, ancora oggi, non è destino conoscere quale delle tante versioni esistenti del racconto dei racconti sia vera o falsa. Seguendo l’itinerario tracciato da Petruccioli, troviamo subito Maria in dolce attesa del suo Ieshua.

È accompagnata dall’ansia, come è giusto che sia, ma anche dalla paura per i giudizi che riceverà per essere rimasta incinta prima del matrimonio, per giunta in maniera misteriosa, forse per mezzo di qualcosa che si è manifestato solo davanti ai suoi occhi e che ha riempito ogni cosa di “argento”. E proprio quell’argento, che sembra incarnare più la voce di un universale istinto materno che non la volontà del Padre Celeste, ogni tanto rapisce Maria.

C’è Giuseppe che accetta per amore, addirittura per risolvere la situazione con la famiglia di Maria si prende la responsabilità e “ammette” che con la sua fidanzata si sono conosciuti prima del tempo. Proprio in questo libro, l’amore è una forza attiva che produce moti e rivoluzioni dell’animo, ma non è detto che questo sia sempre un bene. Così Ieshua, ragazzo prodigioso e anche dai comportamenti ambigui, è il primo che si rende conto del fatto che nel Tempio del Padre si predicano contraddizioni più che verità, ossia una violenza insensata, un pregiudizio che rende Dio un tiranno. Così Ieshua fa tutto a misura d’uomo. Edifica una divinità più comprensiva e meno distante dai “mortali”; un’entità che sa perdonare, quasi condonare ogni crudeltà.

Insomma, la storia è nota e il finale sappiamo qual è. Petruccioli lascia che siano però le donne a raccontare qualcosa di inedito. Maria ad esempio rende tutto poco straordinario o magico, forse perché non è davvero questa la cosa più importante della storia. Ieshua è uno che ci ha creduto fino in fondo, che ha voluto scardinare la tradizione, perché in essa c’erano brutture e tribalismi; quello dei padri era un Dio barbaro, senza scrupoli, sempre crudele e solo in qualche caso misericordioso.

Ma Ieshua ci appare anche un po’ tonto, soprattutto durante le sue crisi adolescenziali. La sua sensibilità lo rende agli occhi di una sua seguace “tanto donna quanto uomo”, e sebbene lei di fronte a questo si senta spaesata, ecco che si accorge anche di quanto ciò la faccia sentire capita e accolta.

E poi cosa accade? Che Maria se lo sentiva fin dall’inizio che non sarebbe stato destino, che la rivoluzione del figlio, o raccontata come la storia di uno scontro generazionale, o travestita di miracoli, di resurrezioni e di epiche visioni, non avrebbe portato a nulla, perché Ieshua era straordinario, un’eccezione, fin troppo umano in un mondo precario. Ecco che cambiano i tempi ma la storia del Figlio di Dio, vero o presunto, è genuina e valida in ogni epoca, questo perché la sostanza, ossia l’essere umano, non muta, tutt’al più si traveste meglio.

E proprio Maria, prima madre, poi tutto il resto, presagisce ogni cosa, sospinta da quell’argento che avvolge di inquietudine e di serenità, che sa essere contraddittorio, in quanto insegna e rasserena. Che sia la pazienza di Dio?

Per questi motivi, Maria non vuole sapere se a essere condannato sia stato suo figlio o un altro. Ci lascia infatti un dubbio al quale, almeno ora, qui e con i nostri mezzi, non potremo rispondere. Ipotizziamo, interpretiamo, restiamo a guardare, seguiamo i passi di una madre che, contro ogni ragionevolezza, non se la sente di svegliare il figlio dai propri sogni.

 

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