Petrolio o del fallimento del progresso

Articolo di Giuseppina Sciortino

Difficile parlare di Petrolio senza considerare la storia personale di Pasolini, impossibile slegarlo dal contesto socioculturale in cui s’inserisce. Ho letto l’edizione Einaudi curata da Aurelio Roncaglia e pubblicata postuma, un’opera incompiuta con tutti i suoi limiti, divisiva per il significato che ha avuto, questioni ideologiche, le congetture sulla vicenda Eni e la morte dello stesso autore. Ammetto che alcuni passi siano faticosi, l’ossessione per il sesso soprattutto (l’Appunto 55, in particolare, il più lungo e difficile forse), ma esiste un’idea ambiziosa, una forma romanzo ibrida che oggi è maggiormente percorsa.

Non liquiderei come un brogliaccio un’opera che possiede un’innegabile grandezza. Lo stesso Pasolini, in più occasioni visionario se non addirittura profetico, rivelò in una lettera a Moravia che questo sarebbe stato un romanzo “testamento”. In un’intervista dichiarò che il testo sarebbe stato lungo più di duemila pagine, una sorta di Satyricon moderno, e che l’avrebbe tenuto impegnato per tutta la vita. Sappiamo ancora che nelle intenzioni del suo autore il libro avrebbe dovuto essere un metaromanzo filologico, un’edizione critica di un testo inedito. In realtà, la morte di Pasolini sopraggiunse consegnandoci un testo qualitativamente e quantitativamente incompleto, come affermato da Roncaglia, che si chiede anche se sia del tutto lecito pubblicare un’opera a cui l’autore non ha dato il suo visto si stampi.

Pasolini è un personaggio controverso e parlando di lui si finisce sempre per parlare di misteri italiani, però, considerando il valore altamente simbolico dell’opera, peraltro nemmeno definitiva, tutto il discorso attorno a Petrolio pare se non impossibile molto problematico. Alla luce di tutto ciò, del tempo trascorso, ha senso ancora interrogarsi su molte delle questioni irrisolte? Resta il fatto che sia Pasolini che Mattei sono stati uccisi nelle modalità che conosciamo e che tante ombre rimangono e forse non si dissiperanno mai del tutto. Sicuramente, il libro allude a personaggi reali, e quando si afferma «l’attuale presidente dell’Eni, Ernesto Bonocore» è impossibile non riconoscere nel personaggio fittizio quello reale. In sostanza, Aldo Troya potrebbe essere Cefis (il nome di Cefis si fa esplicitamente in alcuni appunti) e Bonocore Mattei. Comunque sia, nonostante l’interesse suscitato per tali argomenti (per approfondire si veda il libro di Paolo Morando o il cult di Steimetz), credo Petrolio abbia anche un suo valore letterario.

Brevemente sullo stile: volutamente frammentario con frequente ricorso a ironia, per esempio nel definire l’opera poema e nel rivolgersi direttamente al lettore; ai momenti quasi giornalistici, con veri e propri dossier condotti con stile «universale e dunque generico» come si conviene a chi semplicemente riporta fatti e si definisce «linguisticamente povero», si alternano dialoghi morali (come la bellissima Prima fiaba sul potere nell’Appunto 34 bis dove nel far coincidere Dio con il Diavolo trionfa l’assenza di contraddizioni del reale), incursioni nel mito, momenti onirici e poetici. «L’imperfetto incoativo indica il ripetersi abitudinario di azioni per un periodo di tempo generalmente abbastanza lungo» essendo quindi il più adatto a rendere la vita nel suo scorrere che si ripete. Dopo i testi dell’Argonautica, la voce narrante afferma che l’intenzione di Petrolio non è quella di «scrivere una storia, ma di costruire una forma», e la forma a cui si approda tramite le diverse modulazioni espressive della lingua è massivamente ibrida. Tra i modelli di riferimento vengono citati Sterne col suo Tristam Shandy, sperimentatore nello stile e nella forma e non a caso considerato il precursore del romanzo moderno (le vicende del protagonista si concentrano in una sola giornata, proprio come per l’Ulisse), Dante e appunto l’Ulisse di Joyce. In un appunto si manifesta l’intenzione di scrivere un capitolo che ricalchi il modello joyciano, e per molti versi Petrolio si potrebbe considerare l’Ulisse italiano. La visione del Merda (Appunti 71) viene raccontata ricalcando il modello dantesco dell’inferno con gironi del tutto inediti. Nella parte finale del libro gli appunti che richiamano il termine Epochè (in filosofia, l’atto di “sospensione del giudizio” necessario a raggiungere l’imperturbabilità o atarassia), con stile allegorico si riflette sul senso dello scrivere che parte sempre da esperienze reali, sul dualismo ego/atto creativo che ottiene la liberazione del sé tramite la forma romanzo: «il racconto mette a repentaglio, e quindi a soqquadro, l’essere». Un rapporto simile s’instaura quando si viene a contatto con il sacro: l’essere va in crisi e rinuncia a sé per entrare in comunione con l’altro in una finzione che si fa rappresentazione nell’arte, mentre si esprime in rito nella sacralità. Questo credo sia uno dei possibili significati ravvisabili nelle allegorie petroliane dell’epochè. In questo sforzo di esprimere la complessità del reale, con tematiche di senso globale, tramite allegorie, digressioni (un appunto si chiama proprio così), continue riflessioni sulla società, Petrolio si potrebbe definire anche un “romanzo mondo”.

Vediamo adesso i contenuti. Siamo nella Roma fine anni ‘50, il libro si apre col racconto mitologico-avveniristico della nascita di due entità. In una sorta di clonazione o anche di genesi biblica, nascono le due creature Carlo (Carlo Valletti), una speculare all’altra. Il doppio Carlo incarna la contrapposizione tra Polis (la città, la razionalità, la dimensione pubblica) e Tetis (le pulsioni irrazionali, la sessualità, la sfera intima dell’individuo), potere e sesso, diavolo e angelo, corpo e spirito, l’uno che cerca di definirsi tramite l’altro oppure annullando l’altro in un vortice di «nuvole mitiche»; significativo il riferimento alla giottesca Infedeltà della cappella degli Scrovegni di Padova e al bacio di Giuda, forse un filo sottile che lega Pasolini a Proust, dato che la riflessione in merito a vizi e virtù e il riferimento a Infedeltà di Giotto è presente anche ne la Recherche.

Visioni demoniache di povertà e squallore caratterizzano la città dall’aria «greve di merda, gas, cloache» in cui si muovono entità misteriose, come la donna che Tetis sceglie come depositaria di un segreto e lo scrittore con cui non riesce a parlare. Già dalle prime pagine, è possibile individuare tanti fili narrativi che si dipanano e si spezzano, chissà se avrebbero avuto uno sviluppo successivo. Carlo viene presentato come un ingegnere dell’Eni interessato a ricerche petrolifere. Karl, l’umile buona faccia dell’entità bifronte, pur essendo inferiore al Carlo ai vertici dell’Eni, possiede però ciò che manca all’altro: la libertà. Sono stata tentata di ravvisare varie identificazioni, ma la stessa voce narrante/Pasolini avverte con una punta d’ironia che «sono ancora dei personaggi immaginari» a mettere in atto tutta la storia, eppure in essi la psicologia (detto che l’animo umano non si riduce a mera psicologia) è sacrificata all’ideologia, qualunque cosa voglia dire un’affermazione del genere. Nel vasto campionario umano che le pagine di Petrolio ci mostrano emerge la mostruosità, specialmente quella celata nella facciata socialmente accettabile, la mostruosità mossa dall’ambizione di grigi intellettuali, semplici mostri di «passionale servilismo» ammanicati con politici e industriali.

Carlo si sdoppia generando da un lato uno spirito del male, una sorta di Stavrogin rappresentazione del «male morale assoluto», spirito demoniaco (diversi sono nel libro i riferimenti a Dostoevskij, a I Demoni, soprattutto) e dall’altro un Karl o Carlus buono, ovvero la parte buonista contrapposta alla cattiva, dissoluta che a sua volta indossa una maschera borghese. Dunque, la dicotomia è fisica, spirituale, sessuale ma anche politica. La libertà sessuale come affermazione identitaria e volontà di opporsi alla borghesia sociale e intellettuale incarna la stessa sovversione della regola attuata da Stavrogin, in confronto al quale i tanti peccati carnali di Carlo appaiono assolutamente tiepidi. Nella nevrosi di Carlo è impossibile non leggere una metafora più ampia di corpo e potere. I due Carlo, dunque, oltre al rapporto tra Io ed Es, rappresentano questa contrapposizione tra facciata pubblica e privata. Tuttavia, la voce narrante dichiara che il tema del suo “poema” (viene definito anche “Legomenon”, ovvero «le cose dette») non ha a che fare con la dissociazione, dato che una netta dissociazione sarebbe già ordine, più che altro con l’identità, frammentaria e frammentata – proprio come l’opera -, con le ossessioni contro cui l’identità si schianta annientandosi e ricomponendosi.

Il tema del doppio, il sosia dostoevskiano, viene sottoposto a continui rovesciamenti, il più eclatante dei quali il cambio di sesso di Carlo. Il ribaltamento è continuo fino a ristabilire alla fine del romanzo una sorta di equilibrio nel momento in cui a Carlo rispunta il pene. Un forte simbolismo con accostamenti dissacranti, visioni oniriche di divinità mafiose o merdose affiancano lo sguardo ora lucido ora allucinato sempre spietato su una società il cui scopo primario è rappresentato proprio dal Petrolio, l’ideale, un potere tutt’altro che vecchio, sempre giovane poiché instabile e teso costantemente a perpetuarsi. La scelta del potere di stabilizzare il passato è quella più naturale, pertanto ogni rivoluzione tesa a un futuro incerto, improbabile sarà destinata ad esaurirsi fino a portare a una restaurazione. La stessa dinamica caratterizza ogni avvicendamento di potere, governo, regime, ideologia politica. A proposito di ideologia, in Petrolio si afferma che negli anni ‘60 «Dominava ancora l’egemonia culturale delle Sinistre così come erano uscite dalla Resistenza» e ancora «l’antifascismo e il progressismo cementavano ancora tutto, in un’Italia pressoché paesana».

Ciò che irrompe prepotentemente nella cultura dell’Italia postfascista è la cultura di massa, un «edonismo del consumo» in cui Pasolini individua un modello unico piccolo borghese che crea frustrazione nel povero il cui orgoglio contadino è annullato e mortificato. Le incursioni in Oriente, i viaggi reali e fittizi hanno il dichiarato intento di sottolineare la «distruzione di culture tradizionali e reali, sostituite con una nuova cultura alienante» che si propone di trasformare i poveri eliminandoli di fatto dalla faccia della terra «una iniziativa delittuosa presa dal potere nella sua forma burocratica statale (…) una forma violenta di lotta di classe antioperaia». Il conformismo sociale espresso dai giovani capelloni contro cui Pasolini si è più volte espresso, appiattisce poveri e borghesi senza offrire un modello in cui riconoscersi e generando nelle masse popolari disorientamento e nevrosi. I giovani tutti uguali alla ricerca di modelli sono descritti con il disprezzo che deriva dall’orrore per la falsità della società del consumo. Poveri ripugnanti, giovani e vecchi, non sono più distinguibili dai ricchi, impastati come sono nell’insincerità di una nuova società che appare un vero genocidio culturale a cui sono stati sacrificati i migliori frutti della bellezza di matrice culturale italiana. Gli ideali della nuova società dei consumi (dei disvalori, piuttosto), le mode, anche i «prodotti intellettuali», sono propinati dal potere tramite la stampa e la televisione. Tali concetti Pasolini li aveva già affermati nei suoi articoli che vanno a formare il corpus degli Scritti corsari, articoli giornalistici apparsi in varie testate. Questa inclinazione giornalistica di Pasolini è evidente in Petrolio: tra i fatti di cronaca narrati la tragica morte di Giangiacomo Feltrinelli. Impressionante la visione incendiaria nei pressi di Torino alla luce di quello che dopo pochi anni sarebbe successo a Bologna (Appunto 110).

A un certo punto Carlo si sposta a destra e partecipa a una misteriosa cena con democristiani di destra fascisti e mafiosi, loschi figuri con cui sarebbe meglio non avere nulla a che fare. Ovviamente, Pasolini non lesina critiche né a destra né a sinistra, per esempio al cosiddetto Linkscommunismus, ovvero un comunismo di sinistra fatto da «mezze calzette». Cos’è rimasto delle rivendicazioni di sinistra nella nuova civiltà dei consumi? La spinta iniziale, più genuina, si è sicuramente esaurita in nome del sistema. L’esperienza di Carlo che rappresenta proprio la dissoluzione della società indagata da Pasolini si configura come una radicale critica al progresso: «Non era offesa al suo buon gusto che gli procurava il miserabile mondo del progresso, del benessere, della libertà sessuale, della lotta contro l’oppressione, della fine del potere della Chiesa, della scomparsa dei vecchi padroni, delle riforme (…); era un vero e proprio senso di tragedia». Carlo rappresenta questo falso progresso, invece Karl (il doppio) è «dolce e buono come gli uomini di una volta» partoriti da quel passato che pur con la repressione ha dato cose meravigliose. Ma Karl il buono verrà completamente soppiantato da Carlo: il progresso con tutte le sue contraddizioni ha realizzato un’orrida unità (Appunti 60-62).

Oggi che il fallimento di un sistema, di un vero e proprio impero, cioè la società tardo-capitalistica, mostra con le sue continue crisi le sue falle e debolezze, le parole di Pasolini sembrano davvero delle profezie avverate. Tra gli ultimi appunti del libro quelli relativi a una manifestazione fascista formata da «miseri cittadini ormai presi nell’orbita dell’angoscia del benessere» e relativa festa antifascista. Il vero potere ha a che fare principalmente col progresso e il suo esercizio politico con il parassitismo, mentre lo sviluppo economico inteso in senso liturgico, un rito misterico dai ritmi goliardici, in cui riporre fiducia quasi magica, non è assolutamente connesso con quello civile. Riporto una delle battute conclusive del libro: «il mondo non può essere reso sicuro né per la democrazia né per qualsiasi altra cosa». Proprio così, e oggi la cosa risulta più che mai palese realizzando l’altra profezia di Konrad Lorenz che più o meno nello stesso periodo enunciando gli otto peccati capitali della nostra civiltà disse che il danno più grave di tutti era «diffondere nell’umanità la sensazione che la fine del mondo sia vicina».

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