Partitura a parole

Articolo di Daniela Grandinetti
Le parole sono come le note: da sole non hanno senso, ne servono un certo numero per scrivere una partitura. Fin dai primi suoni che emettiamo da neonati, quelli che gorgogliano tra le labbra, noi dipendiamo dall’aria che respiriamo e dalle parole che pronunciamo. La nostra esistenza dipende dall’ossigeno dell’aria e la nostra vita dipende dalle parole che impariamo. Nel primo caso è una necessità, nel secondo caso ciò che ci fa uscire dal caos e definisce il nostro senso. Penso a un piccolo angelo: se avesse avuto le parole giuste per farsi ascoltare, se la follia di chi l’ha ucciso le avesse avute per farsi curare. Se un padre assente le avesse avute per non nascondersi dietro la fatalità. E ancora. Pensate se si potesse inventare un microchip che cancelli dalla mente umana la parola “odio”. Poi magari la parola “armi” o “guerra”, e ancora parole come “lobby”, “mercato”, “profitto” “povertà”. Se potessimo cancellarle dal patrimonio lessicale con un tasto, che bel sogno. E ancora. Se l’uomo che picchia la “sua” donna avesse le parole, non usasse le mani, e se quella donna che le prende conoscesse le proprie per difendersi o per chiedere aiuto finché è in tempo. E ancora. A volte guardo certi visi smarriti di ragazzini che spuntano dai banchi: li riconosci al volo. Non alzano la mano, non ciarlano, non sbeffeggiano, non imprecano. Aleggiano con gli occhi in un loro mondo liquido. Tu sai che nella migliore delle ipotesi hanno già la strada segnata e sai anche che devi restituirgli le parole, solo quelle.
Loro parlano solo se interpellati, per lo più balbettano, dietro quei suoni disarticolati quasi certamente c’è una sciagura, perché la scuola che frequentano è la scuola degli sciagurati, quella di coloro ai quali è stato detto che non sono fatti per i libri ma per il lavoro. In ogni caso, sia come sia, le parole serviranno a quel ragazzino per imparare a difendersi, per orientare la rabbia, per strapparsi da dosso il marchio maleodorante dell’inadeguatezza, per esprimere i sentimenti, per imparare ad amare. Le parole sono ciò che ci fa conoscere ed esprimere la bellezza. Tutto, niente, qualsiasi cosa. E ancora. Le parole, quando mancano, appartengono alle storie finite, quando il vuoto assale e le parole se ne sono andate, le strade divergono. E ancora. Le parole ci svelano dentro agli sguardi che raccontano, ci liberano nei suoni possibili se abbiamo imparato a suonare lo strumento che dà consapevolezza alla nostra espressione.
E ancora. È nella parola detta che incontriamo la parola dell’altro, in una cosa che si chiama: dialogo. E ne consegue un’altra: il rispetto.