Viaggio tra le parole: virtù

Viaggio tra le parole: virtù

Articolo di Elisa Chiriano. Foto in copertina di Pino Simone

Virtù è una parola bella e ribelle. È miraggio e messaggio: ammalia, affascina e conquista. Sa di forza, vigore, temperanza e saggezza. Virtù è una parola potente e potenziale. È attività incipiente, energia. Viaggia da sola o in compagnia, indossando l’abito dell’abitudine o assumendo i connotati di forza dirompente, capace di sprigionare e raccogliere energie sempre nuove e diverse. È generativa del desiderio. A volte è disobbediente, perché ha proprie vie – o non ne vuole avere! (“Servitù è il vero nome di quell’obbedienza che non è virtù”, don Lorenzo Milani).

La virtù è impaziente, sebbene la pazienza sia una virtù. È amabile, praticabile, esercitabile… eppure spesso la disprezziamo pensando che non esista più (Virtù viva sprezziam, lodiamo estinta, Leopardi). Lungo è stato il suo cammino nel tempo e nello spazio. Un percorso virtuoso, qualche volta virtuale, raramente virale: quelle buone pratiche, capaci in nuce di diffondersi e di contagiare il mondo, a volte si sono fermate a metà strada. Una pervasività e una pluralità che continuano a suscitare domande e interrogativi circa le sue funzioni e caratteristiche.

Virtù è il valore militare, tipico dell’uomo coraggioso e impavido; è sinonimo di potenza e forza – vis, espressa dalle capacità naturali con connotati divini, connessi a quelli dell’onore e della perfezione. Portatrice di aspetti religiosi, ma anche politici, culturali e artistici, al punto da divenire forza creatrice dell’uomo, al di là e oltre l’avversa fortuna (Niccolò Machiavelli), la virtù sta in bilico e al contempo è il giusto mezzo tra vizi opposti (per eccesso o per difetto).

Virtù è una parola stellare, siderale, luminosa e illuminante; è una parola complicata e complessa, protesa tra cielo e terra. A Bersabea si tramanda, infatti, questa credenza: sospesa in cielo esiste un’altra Bersabea, dove si librano le virtù e i sentimenti più elevati della città. Se la Bersabea terrena prenderà a modello quella celeste diventerà una cosa sola con essa. (Italo Calvino, Le città invisibili). È una città gioiello quella che viene descritta, fatta d’oro massiccio argento e con porte di diamante. Una città di pregio i cui abitanti accumulano metalli nobili e pietre rare, rinunciano agli abbandoni effimeri, elaborano forme di composita compostezza. Virtù è giusto mezzo, in medio stat virtus; è un punto di equilibrio (più o meno!): “Que’ prudenti che s’adombrano delle virtù come de’ vizi, predicano sempre che la perfezione sta nel mezzo; e il mezzo lo fissan giusto in quel punto dov’essi sono arrivati, e ci stanno comodi” (Alessandro Manzoni, I promessi sposi, XXII). Siam fatti di scienza e coscienza, ragione e passione, coraggio e fragilità. La virtù viaggia tra i poli opposti dell’esistenza e dell’essenza. Siamo tutto e il contrario di tutto e talvolta diventa virtuoso l’incedere in direzione ostinata e contraria, rischiando anche la vita tra flutti impetuosi di un mare in tempesta, mentre le incognite dell’ignoto e il desiderio di sapere ci spingono verso altro… oltre. “Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza” (Dante, Inferno, XXVI). La parola diviene veicolo privilegiato della ragione e strumento di vera conoscenza. Trae la propria forza dal pensiero virtuoso e virale, in quanto manifestazione di verità ed è sostanzialmente di genere femminile: è qualità della donna, soprattutto se si chiama Beatrice, distruggitrice di tutti li vizi e regina de le vertudi (Vita Nova, X, 2), al punto che beltà e virtù convergono e cooperano nell’amor perfetto: “O donna di virtù sola per cui/ l’umana spezie eccede ogne contento/ di quel ciel c’ha minor li cerchi sui, (Inf, II).

Virtuoso è ciò che ha valore e pregio. Ci si affanna per essere perfetti in ogni campo eppure… in principio era l’ozio, perché “L’ozio è il principio di tutti i vizi, il coronamento di tutte le virtù” (F. Kafka). L’otium precede il negotium, sia dal punto di vista temporale che etimologico, essendo il secondo una negazione o derivazione del primo. Occorre fermarsi, incrociare le braccia e proclamare a gran voce con Cioran, che la pigrizia è la virtù salvifica per eccellenza.

E infine, si sorprenderanno i nostri graditi lettori e le sopraffine lettrici nel sapere che, per noi che qui scriviamo le sudate carte, virtù è soprattutto la vittoria in una sconfitta, è saper cadere, ma soprattutto riuscire a rialzarsi: da ciò scaturisce la vera umanità! Si può fallire e ricominciare senza che il valore e la dignità ne siano scalfiti. “Ma io sono un uomo che preferisce perdere piuttosto che vincere con modi sleali e spietati. Grave colpa da parte mia, lo so! E il bello è che ho la sfacciataggine di difendere tale colpa, di considerarla quasi una virtù…” (Pier Paolo Pasolini).

In fondo è proprio vero: occorre, sempre e comunque, far di necessità virtù.

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