Paolo Codazzi. Lo storiografo dei disguidi. Arkadia

Paolo Codazzi. Lo storiografo dei disguidi. Arkadia

Recensione di Martino Ciano già pubblicata per L’Ottavo

Se una storia racconta di un tempo e di uno spazio, allora i posteri leggono ciò che è stato senza possibilità di interpretazione o di verifica. Accade poi che nella ripetizione del racconto di un ricordo o di un’impressione ci sia sempre un tratto di singolarità, quindi una aggiunta di emozionalità, e proprio quell’elemento in più innesca l’equivoco.

Lo storiografo dei disguidi gioca ironicamente con gli aspetti mendaci della memoria e della intenzionalità che si nascondono dietro ogni gesto umano. Con sguardo strabico, come dice lo stesso autore, Codazzi si diverte con i punti di vista e con l’impossibilità di giungere a una versione definitiva, perché da buon conoscitore di Thomas Bernhard, lo scrittore fiorentino sa che bisogna ritrovare il contenuto di verità che sta nella menzogna… ma potrebbe essere anche il contrario.

Codazzi sceglie le parole con cura, imprime sul foglio un flusso ipnotico che riesce a mascherare le contraddizioni e i disguidi attraverso cui ogni racconto diventa cronaca incerta che si libera in uno spazio-tempo, che annulla ogni alternativa. Lo scrittore fiorentino è influenzato dai grandi filosofi, dalle intuizioni dei grandi narratori. Nella ricerca di un elemento nuovo nel mezzo di una serie di libri tutti uguali, ritroviamo le stesse suggestioni con cui Borges ha saputo costruire i suoi labirintici e ipotetici mondi.

E poi c’è Firenze, luogo e non luogo che fa da sfondo a un sapiente uso della narrazione, perché per creare mille disguidi c’è bisogno di uno spazio che sia capace di abbindolare e gettare nello spaesamento coloro che lo attraversano. E qui Firenze appare in frammenti che non riescono sempre a riunirsi, che la rendono una città sospesa e avvolta in una nebbia metafisica che offusca il senso delle cose; tant’è che il capoluogo toscano diventa il tavolo su cui Dio gioca con i suoi dadi.

Ironico ed equivoco, il libro di Codazzi si inserisce in quel filone narrativo che invita il lettore a partecipare alla costruzione di ogni storia, anche se tutto è già stato scritto e non può essere modificato. Ma è proprio questa illusione che rende il libro così suggestivo.

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