Il satiro Pan
Di Ippolita Luzzo
Cantava tutta l’estate, sui tigli fioriti, la cicala.
Cantava, cantava, che bello!, che bello!, il sole, le stelle, la vita, il calore.
Suonava per boschi, per valli incantate, suonava felice il satiro Pan.
La cicala cantava dalla coda, si nutriva di rugiada, si perdeva nei suoi suoni.
Cantava una sola estate. Poi moriva.
Pan, il tutto, πας πασα παν, ricordi?
il molteplice, il duplice, era uomo e donna. Unione di desiderio-uomo-ed incanto-donna. Suonava, suonava e bloccava le ninfe, trasformandole in oggetti inanimati. Perché il tutto dissolve l’individualità.
Era il diabolico, perché poi divide e separa. Umano bestiale. La parte inferiore nella materia, quella superiore luminosa. Pan, una sessualità solitaria, due falli.
Le ninfe diventavano altro e nelle valli incantate della nuova tecnologia ripetevano smarrite le ninfe della mitologia.
La cicala cantava e guardava, cececè, cececè, cantava cantava. Settembre è già qui sul web incantato del satiro Pan