Gli oscillanti di Claudio Morandini

Gli oscillanti di Claudio Morandini

Recensione di Martino Ciano già pubblicata per L’Ottavo. In copertina: “Gli oscillanti” di Claudio Morandini, Bompiani, 2019

Lei è una giovane ricercatrice che si reca tra i monti per studiare i canti dei pastori. Trascrive melodie su un pentagramma e cerca di comprenderne il significato. Queste note vocali sono parte di un linguaggio ancestrale che le generazioni si sono tramandate negli anni. Sono richiami che rimbalzano tra le pareti scoscese dei monti, corrono lungo le vallate, si inabissano nelle doline e diventano un mistero.

Gli oscillanti di Claudio Morandini è un romanzo che nasconde tra le sue righe una critica alla logica e al comportamentismo. Sembra una fiaba, perché in queste pagine il mondo è diviso in maniera manichea. Crottarda, il borgo in cui si reca la protagonista, è un paesino abitato da persone strampalate, misteriose, pronte a difendere con le unghie e con i denti i propri segreti. È un luogo sul quale non batte il sole, se non per qualche ora. Il buio, il freddo e l’umidità sono le caratteristiche di questo posto che rende tutti sospettosi, trasandati e poco inclini alla compagnia. Sull’altro versante c’è Autelor, villaggio accecato dalla luce solare, abitato da persone allegre, gentili e sempre pronte a far festa. Fatto sta che i crottardesi non vogliono avere nulla a che fare con i loro dirimpettai; anzi, li detestano, li tengono lontani, eppure un tempo erano due popolazioni unite. Cosa le ha divise?

Di questi particolari poco potrebbe importare alla giovane etnomusicologa. Lei, in fondo, è andata lì per studiare quei misteriosi canti notturni con i quali i pastori comunicano. Il suo unico contatto con questa realtà ostile sarà Bernardetta, adolescente inquieta, agitata da fantasie erotiche, disturbata da pensieri oscuri e maliziosi. Ma può la protagonista rimanere indifferente?

Morandini ha scritto un romanzo che oscilla tra mito e realtà. Crottarda assomiglia molto alla Weng dell’intramontabile Gelo di Thomas Bernhard. È un paese in cui vige l’apatia e una composta sofferenza. Gli abitanti nascondono un segreto e fanno di tutto per difenderlo. La giovane etnomusicologa si avvicinerà molto, anzi, troppo alla soluzione dell’enigma e questo le causerà non pochi problemi. L’architettura del romanzo potrebbe far pensare a un horror, ma così non è. Se è vero che non mancano momenti di tensione e suspence, è altrettanto vero che tutto ruota intorno a degli equivoci interpretativi creati ad hoc per mettere in mostra quell’incomunicabilità che esiste tra città e zone rurali, tra mito e realtà, tra modernità e tradizione.

Crottarda nasconde un indicibile che sfugge alla logica, che non si piega alla ricerca accademica. La difesa del mistero da parte della popolazione è una metafora sulla malsana necessità contemporanea di tradurre in termini essoterici ciò che deve rimanere nell’ombra. È davvero possibile spiegare tutto?

Per comprendere questo romanzo prenderò in prestito Schopenhauer: la musica, ossia, la volontà in sé, non può essere spiegata del tutto dal punto di vista fenomenologico. Pertanto, il mistero di Crottarda non è un evento ma un perché da difendere, su cui poco si deve disquisire. Le voci notturne che si levano dal profondo delle doline non sono che i richiami di un inconscio che rifiuta ogni lettura razionale.

Post correlati