Storie di persone ordinarie. Antonella Longo e la profondità della quotidianità
Recensione di Martino Ciano. In copertina: “Storie di persone ordinarie” di Antonella Longo, Bookabook, 2023
È provocatorio il titolo dell’esordio letterario di Antonella Longo; lei che ha vissuto gran parte della gioventù a Tortora, per poi trasferirsi a Udine, città nella quale insegna e vive con la sua famiglia, ha potuto notare che a ogni latitudine alberga un’idea diversa di ordinarietà, così come ha compreso che dietro il costante e placido respiro della quotidianità si affastellano le contraddizioni dell’umanità.
Guai a fare finta che tutto sia “ordinario”, perché ogni persona cela contrasti che non si risolvono né con i pregiudizi né con interminabili elenchi che delineano modelli comportamentali. Ogni giorno, un attento osservatore incappa nell’imprevedibilità delle proprie e delle altrui azioni. Longo fa questo, prima di tutto scruta i suoi personaggi, poi ne tratteggia i contorni.
La strada, la scuola, la famiglia, la piccola comunità e la massa cittadina sono gli ambienti in cui l’individuo si esprime quotidianamente, assumendo atteggiamenti diversi, relazionandosi con sé stesso e con gli altri in maniera diseguale. Alla scrittrice tortorese piace dare una forma a quel cumulo di emozioni che velocemente compaiono, quasi fossero fuochi fatui che stupiscono, spaventano e poi spariscono.
Raccontare l’ordinarietà vuol dire scandagliare l’umanità, ma anche sovvertire quell’interpretazione malsana, se non paradossale, che abbiamo del concetto di “normalità”. Cos’è normale? Nessuno sa dirlo, eppure questo termine viene ripetuto così tante volte da aver reso “la ricerca della normalità” un guazzabuglio utile solo agli psicanalisti.
Ognuno è normale per sé, pertanto l’altro è a immagine e somiglianza delle nostre aspettative. I protagonisti dei brevi racconti di Antonella Longo sono persone ordinarie i cui disagi sono annullati dai pregiudizi di chi li osserva. L’altro è un individuo costantemente “sorvegliato e punito” dal nostro sguardo, su di lui riversiamo ciò che “non siamo” o ciò che “non ammettiamo di essere”.
La bravura di Antonella Longo è stata proprio questa: delineare in poche pagine dei personaggi-vittime, ricoperti di ordinarietà dagli occhi di una società che osserva senza mai intervenire e che ha messo al bando la fiducia. Anzi, la socialità è il negozio nel quale le emozioni si consumano, si svendono, si barattano o, peggio ancora, si scartano, in nome di una scelta qualitativamente migliore.
Alla fine del libro, ci porremo questa domanda: l’ordinarietà è solo un comodo diversivo per mettere in fila ciò che necessiterebbe di un’acuta riflessione?