Novembre, ricordi?

Novembre, ricordi?

Racconto di Napoleone Dulcetti. Tratto da “Ora Momento, un progetto per mio padre”. Foto di copertina: “Joystick” di George Beker, download a uso gratuito da Pexels

Mentre il maltempo uccide le ultime zanzare, io tengo stretto fra le mie braccia Emanuele. Leo e Nicola hanno messo da parte i soldatini e stanno sperimentando la nuova tendenza: una console nera che simula i videogames delle sala giochi. Devo dire che non sono molto favorevole a queste novità, ma abbiamo trovato un giusto compromesso: voti alti a scuola e possono giocarci per una mezz’oretta dopo i compiti.

Mimma prepara la cena e io sul divano mi godo questa domenica di relax. L’autunno con i suoi colori predomina, come il malumore generale che soffoca il paese fino alla prime luci del natale.

Ed eccomi qui, in poltrona, sulla collina dei sacrifici e dei sogni, frantumo castagne calde tra le mani, il calore arriva fino al cuore e lo avvolge di uno scoppiettio marrone che si propaga per tutta la casa. Sulla tovaglia a quadretti bianchi e arancioni piovono pezzi di corazza castani, come soldatini polverizzati al suolo che si sono arresi alla forza di gravità.

Era novembre, qualche anno fa ormai, quando i miei figli mi hanno ribadito che non avrei più guidato, eruttai un grido primordiale, meravigliandomi di quel tuono; un parto, anzi no un aborto spontaneo. Guidare è sempre stato fondamentale per me, per il mio lavoro, i miei doveri, i viaggi di piacere, una volta fino in Francia, fino a Nizza da mio cugino… Le prime volte mi sentivo inutile, poi ho capito, con il passare del tempo quel gesto quotidiano e spontaneo sarebbe divenuto impossibile.

Così mentre Mimma mi accompagna al bar a fare colazione sprofondo sul sedile del viaggiatore, come nei primi videogames degli anni 90 dei miei figli, anche oggi sono uno spettatore, io che non ho mai preso un joystick in mano, persino ora che cerco di ricordare la sequenza dei tornanti che baciano Blanda, fino alla Marina e di ritorno a Villa America.

Tra una perturbazione e l’altra ci sono attimi scintillanti e la rugiada trasparente brilla di giallo, così apro la finestra della collina e guardo giù. Papà non viene più di sera, l’arancione acceso serpeggia fra le querce e in cortile c’è il futuro che cresce nella pancia della moglie di mio figlio.

Rientro, ho freddo ma un sorriso accentua irrimediabilmente le rughe del tempo.

Ho voglia di un caffè, devo rinunciare, mi dicono che ne prendo inconsapevolmente troppi, sento in salotto Leo e Nicola litigare per una partita andata male, Emanuele è nel seggiolone che ride a crepapelle.

Ho voglia di un caffè, non posso, nelle mie narici sale un odore pungente, è la moka di mamma Teresa, è la moka di Mimma, poi un rumore meccanico, un tremare assordante, la macchinetta automatica per le cialde.

No, non ci credo, la pallina da tennis, il fiatone dei tennisti, la voce di un telecronista che grida Net, corro verso la finestra sul mare viola, guardo verso il campo sportivo, non c’è nessuno fuori, solo foglie danzanti nel vento di novembre. Cammino verso le voci in salotto, è il rumore di un nuovo videogioco anni 90 sul tennis, il mio sport preferito.

Mi avvicino alla porta dai quadrati in vetro, un altro schermo sul passato, mimo la volée di Panatta, in campo mi viene benissimo, un colpo vincente, sento un dolore alla spalla ma è sempre meglio di avere un joystick in mano.

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