Non temere la fuga
Articolo di Antonio Famà
Ciò che forse ci distingue dai bambini è il coraggio di osare la fuga. Loro, i bambini, non la temono perché sperimentano il superamento dei confini razionali fin quando la logica adulta non li schiaccia, non reprime le loro fantasie, non li costringe nelle gabbie predisposte dalla società. Ecco, io credo che di tanto in tanto bisogni osare la fuga; dal quotidiano, ad esempio. A piccole dosi, come valvola di sfogo, come tentativo di scrutare cosa si celi al di là di un confine noto e sicuro, è necessario fuggire. Più di vent’anni fa, in un corso di scrittura, scorsi una barchetta di legno sul ripiano di una libreria. La proprietaria della casa, nonché conduttrice del corso, mi chiese cosa mi facesse venire alla mente quell’oggetto. Risposi che quella barchetta rappresentava un bel viaggio che lei di certo aveva fatto. Mi disse di non aver viaggiato tanto nella sua vita, e mai per mare. Piuttosto, quell’oggetto era ciò che, guardandolo, le permetteva di viaggiare stando comodamente seduta in poltrona. Qui risiedono la fuga e il coraggio richiesto per una tregua minima dal quotidiano. Mentre i bambini scavallano tra i reami del possibile e dell’impossibile, noi adulti cresciamo impantanandoci unicamente nell’immanenza.
Domenica scorsa mi trovavo a Randazzo. Un pranzo fuori con degli amici. All’interno del bagno del ristorante c’è una finestrella che dà su un pozzo luce. A separare la libertà di affacciarmi dalla finestra dall’impossibilità di farlo esiste il confine di una fitta zanzariera. Eppure, una visione d’insieme l’ho ottenuta, e fotografata. Adoro fuggire in luoghi che d’impatto recano il marchio della bruttezza, dell’anonimato e dello squallore perché hanno, spesso, un fascino che non si materializza agli occhi degli altri. Nel momento in cui ho sostato davanti a questa zanzariera ho partecipato dei rumori di una cucina, delle voci di qualcuno al piano sottostante, del lappare d’ali di alcuni piccioni spaventati, del soffio pervicace di un condotto per l’aerazione. L’occhio si è letteralmente intenerito per il basilico stretto nel grigiume come la piccola fiammiferaia della storia e ha immaginato, anzi è fuggito (ha osato farlo!), dimenticandosi per un attimo di tutto ciò che da lì a qualche ora avrebbe, da adulto, dovuto tornare a fare. Sì, è questo il senso di “osare la fuga”. Stabilire un momento o farsi invischiare per un momento in una parentesi di fantasia che da sola può affrancarci dal triste giogo della vita sempre uguale degli adulti. Non per forza comportarsi da bambini, ma ricordarsi d’esserlo stati e per un attimo tornare a volare.