E non perdo tempo se scrivo…
Articolo e foto di Martino Ciano
Resta in disparte, sarò io a chiamarti, a chiederti quali spavalde emozioni dovrò indossare per essere degno di te. Da te si viene con pochi timori, con il coraggio di essere nudi, almeno per un istante. Se avessi voluto non espormi, avrei composto un diario segreto, uno di quelli che si sigillano con pesanti lucchetti, o si nascondono tra le cose intime, o che si bruciano alla prima occasione utile.
La pagina bianca è un tormento. Come scrissi una volta essa è un colpo di pistola in canna. Ci vuole una gran volontà per non essere più sé stessi, ma anche la necessità di ammettere che si è condannati a esistere in eterno, in altre forme e in superiori gradi di consapevolezza. No, il nulla non esiste; al massimo vi sono il riposo, la serenità, la noia, la stasi, l’apatia, ma il nulla proprio non esiste. Il nulla non è concepibile e la Necessità non lo ammette.
Il nulla è un concetto umano, una definizione errata di invisibile. È il modo per indicare uno stato di amnesia, o un pezzo di vita che non sappiamo di aver attraversato. È umano il nulla, è il limite che la scrittura supera, che l’arte combatte, che la gioia e il dolore rimpiangono perché sanno di essere passeggeri. L’esistenza è una rivelazione costante, non contempla il nulla, tutt’al più ci fa credere che qualcosa sia inutile, anche se c’è e ci perseguita, o ci guarda, o ci accarezza, o ci mostra indifferenza.
Quand’ero bambino ragionavo da bambino… e il fanciullo guardava il cielo e immaginava di attraversarlo, di parlare con altro e con altri. Inconcepibile per il fanciullo che qualcosa finisse, che oltre qualcosa non vi fosse un’altra cosa. E le porte del cielo si spalancavano; era percezione di una fantasia creatrice che sapeva dialogare con la materia. Il fanciullo passava così ore e ore, fissando anche un muro bianco su cui si faceva l’Universo. Vorrei tornare fanciullo…
Anche San Paolo sulla via per Damasco, colpito da un attacco di cecità isterica, credette davvero di aver udito il Cristo chiedergli i motivi della sua ferocia persecutoria. Il suo Io disgregato tra fanatismo e volontà di annientamento del nemico, gli mostrò anche che in fin dei conti egli era persuaso dalla bontà del messaggio di Cristo. E proprio quell’amore celato, potente e inconscio, da lui rinnegato, prese il sopravvento in quella crisi isterica. Paolo perseguitava sé stesso e quel “perché mi perseguiti?” era rivolto al suo fanatismo. E ritrovata la vista egli cedette e si convertì, giacché il fanatismo è espressione di un super-dubbio, e per San Paolo il dubbio era l’amore che provava verso il messaggio del Cristo; ne aveva terrore e provava a liberarsene. Chissà quando egli aveva promesso a sé stesso d’essere per sempre Fariseo e giammai Cristiano. Non vi riuscì a mantenere la sua promessa, giacché l’inconscio è l’essenza dell’essere umano e le promesse sono la voce del nulla, perché l’uomo è incoerente.
Così, dopo la conversione, per San Paolo il mondo cambiò e tutto apparve rinnovato; e Gustav Jung spiega per bene quanto avvenne lungo la via per Damasco, e lo fece proprio per dare forza all’idea che non v’è altro che trasformazione, poiché l’Universo non ammette l’annullamento.
Vorrei essere San Paolo… non per convertirmi, ché anche di Dio l’umanità ne ha le scatole piene, ma per capire qual è il super-dubbio che eccita la mia fanatica fantasia tendente al rapimento.