Nomadland. Un cinema di sguardi

Recensione di Gianni Vittorio
Il cinema di Zhao è un cinema fatto di sguardi, dolori, emozioni e paure. Il suo ultimo film, Nomadland, vincitore annunciato di ben 6 premi Oscar, è un ritratto spietato della parte più nascosta dell’America, il Nevada, stato ricco di contraddizioni. Ma è anche la storia di una donna tenace, interpretata da Frances McDormand.
Il film ha quasi un approccio documentaristico, ma sa mettere in correlazione finzione e realtà. La vicenda è tratta dal libro di Jessica Bruder dal titolo Nomadland: Surviving America in the Twenty-First Century, pubblicato nel 2017. La stessa autrice per scrivere il libro ha dovuto vivere dentro un camper per poter documentare la vita della comunità nomade che incontrava.

Tutto ruota attorno a Fern, la quale, rimasta vedova e senza lavoro decide di cambiar vita. Così, gradualmente entra a far parte di una comunità nomade, parte col suo van e inizia a conoscere gente, si prende cura di loro, ma non si ferma mai. Continua fare piccoli lavori occasionali, e anche se incontra degli ostacoli riesce sempre ad evitarli grazie alla sua forza di volontà.
Il cinema di Zhao, che può sembrare retorico ad una prima lettura, è invece cinema del profondo, perché riesce a scavare nell’anima delle persone, è ritrovare se stessi nello sguardo degli altri. È poetica visiva attraverso un viaggio, quello di Fern, un trip-road reso ancor più emozionante dalle musiche sublimi di Ludovico Einaudi, che accompagna la protagonista nel suo viaggio esistenziale.
Infine Nomadland riesce bene a far emergere i conflitti di una società americana, fatta di contrasti, da un lato il capitalismo sfrenato ed estremo (basta vedere le scene dentro la fabbrica Amazon), e la comunità nomade che vuole rimanere in contatto con la natura cercando di affrancarsi dal consumismo spietato dei giorni nostri.
L’ennesima fine del sogno americano.