Nicola Manicardi, Umiltà degli scarti, L’ArgoLibro Editore
Recensione a cura di Martino Ciano – già pubblicata su Gli amanti dei libri
E se voleste trovare l’essenza della vita, l’espressività e la nuda verità, allora, cercate negli scarti, tra ciò che è stato messo in un angolo, tra ciò che non è stato ritenuto “buono”, “fruibile”, “necessario”.
Nicola Manicardi si affida agli scarti, siano essi emozioni, cose, sensazioni, parole, azioni o persone. Nella loro umile comparsa nella quotidianità, si piegano al giudizio e si sottomettono alla scelta di “colui che separa”. Eppure, con forza dirompente, ricompaiono, restano lì, in attesa di essere rivalutati, riutilizzati, ricomposti, perché la vita impone anche il “ricongiungimento” con ciò che in principio o aprioristicamente è stato “gettato”.
Così come l’uomo è gettato in balia dell’esistenza e percorre una strada che lo porta verso la morte, ossia, la separazione finale dalla vita, allo stesso modo ogni emozione o cosa che si pone davanti al nostro cammino si sottomette a un giudizio.
Ma è proprio il giudizio che rende autentica ogni cosa, anche per un attimo?
Sì e Manicardi fa trapelare tutto questo in versi brevi e taglienti, che ridanno vita e colore a ogni “scarto” emozionale ed oggettuale. Non v’è differenza tra ciò che è “utile” e ciò che è “inutile”, giacché entrambe le parti sono costrette a dialogare. E proprio nel momento in cui il dialogo si interrompe, nasce un’insensata malinconia che non fa altro che attestare a gran voce la necessità di “appartenere a qualcosa o a qualcuno”.
Come spiega Giulio Maffii nella sua prefazione, Manicardi ama un certo linguaggio “cioraniano”, in quanto nei suoi versi troviamo “un’eccessiva lucidità” che si unisce alla necessità di “negare” per riappropriarsi di ogni cosa. Tutto, insomma, segue il percorso della ricollocazione in un mondo che si accontenta di verità edulcorate e di parole di circostanza.
“Umiltà degli scarti” è una raccolta di poesie dissacranti, in cui tutto è messo a nudo, affinché si possa ritrovare il “senso” perduto delle cose. Senso e verità, sia ben chiaro, che non sono mai definitivi, ma sempre parziali, perché solo di cose “parziali” può circondarsi l’uomo.