Di un domani

Di un domani

Di Martino Ciano

Si squarciò davanti agli occhi la tenda nera che separa la bocca dell’utero dalla vita. La luce entrò nel corpo, nella carne.

Inizia a morire, a contare i passi verso il ritorno. È questo un trapasso che avviene e non lascia traccia nella memoria, in un tempo che osserva facendo finta di scorrere. Abbracciami al primo pianto; è lontana la Giustizia, il Nirvana, mieti per me mentre io succhio dal capezzolo incustodito, svelato per il mio piacere, portatore di bene e di male.

Ho pianto nel cuore della notte, risvegliato dalla fame. Ti ho donato l’insonnia e la bestemmia, nel cuore della notte poco amore, solo necessità di zittirmi. Lacrime di vita, fino al rigurgito, fino al sonno. Ti ho liberata dai doveri dell’infanzia, eppure mi hai sempre amato. Ero figlio quaranta minuti dopo il parto come lo sono a quarant’anni. Disperazione dell’amore. Mi attendi come ieri affinché io varchi la porta. Io invece spio nella tua camera, riconosco il profilo del tuo corpo disteso sul letto anche al buio, percepisco il tuo respiro, dico “sì, sei viva”.

Non libero ancora l’angoscia del pensarti lontana, di perderti e di non trovarti più. Quel giorno però sarò silenzioso, nei miei passi, ad attendere il momento per piangere; sarà al tramonto, quando ogni cosa si spegne e resta la speranza, vana, del domani.

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