Miguel Bosé. Il figlio di Capitan Tuono

Miguel Bosé. Il figlio di Capitan Tuono

Articolo di Letizia Falzone

È uscito l’8 Marzo “Il figlio di Capitan Tuono – Memorie di una vita straordinaria”, edito da Rizzoli, il libro autobiografico del cantante e attore Miguel Bosé, comprensivo di un arco che va dalla sua venuta al mondo ai primi successi.

Capitan Tuono, eroe medievale dei fumetti, negli anni Sessanta spopolava tra i ragazzini spagnoli.
“Miguelito” era uno tra loro ma, a differenza degli altri, era figlio del torero Luis Miguel Dominguín, icona nazionale, e di Lucia Bosé, attrice, eletta Miss Italia nel 1947, considerata la “donna più bella del mondo” e divenuta musa del surrealismo.
I suoi genitori, per la stampa, erano belli da morire, l’incarnazione dell’amore indissolubile ma l’incantesimo dopo 13 anni si ruppe. Lui maschilista e ancorato ai valori del franchismo, lei innamoratissima ma non più capace, a un certo punto, di sopportarlo.

Luis Miguel aveva un’ossessione: la virilità. L’uomo, nella sua concezione, doveva essere macho, rude, coraggioso, impavido, risoluto. Tutte caratteristiche che, a suo avviso, il figlio, non possedeva.

Bosé si mette per la prima volta a nudo senza reticenze e racconta nel suo libro, la storia della sua infanzia e della sua adolescenza, con lui e le sue sorelle in balìa di un padre “onnipotente”, abituato al fatto che la sua volontà fosse legge, e di una madre di leggendaria bellezza.

Per stimolare la sua virilità repressa e per sottoporlo a una sorta di “rito di passaggio”, suo padre gli inflisse una tortura terribile.

«Quando avevo 10 anni mi hanno cucito vivo dentro la carcassa di un cervo. L’hanno svuotato dalle viscere, poi mi hanno lasciato là dentro. 
Sono svenuto: per la claustrofobia, per la mancanza d’aria, per la brutalità del gesto», ha raccontato.

Lucia vide più lungo e voleva assecondarne la sensibilità.
Al piccolo Miguelito piaceva leggere, divorava libri di nascosto rubandoli dall’intoccabile libreria di casa, gli piaceva viaggiare col dito sull’atlante geografico e immaginare altri mondi, navigare l’oceano e scoprire i suoi segreti. Si affezionava ai tori allevati, ai cavalli che forzatamente doveva cavalcare dinanzi alla gente per dimostrare di essere un vero uomo, come suo padre, come si doveva essere all’epoca di Franco in Spagna.

Fulcro del libro è proprio il tempestoso rapporto con il padre. Un legame profondo intessuto di amore e odio, ammirazione e conflitti. Dominguin, torero invincibile, sciupafemmine inguaribile e traditore seriale della povera Lucia, era terrorizzato dall’eventualità che il figlio potesse diventare omosessuale.
Miguel riporta così i timori del padre, confessati alla madre: «Lucia, mi è stato detto che il bambino legge, molto, senza fermarsi». La madre chiese quale fosse il problema: «Frocio, Lucia, il bambino sarà frocio!».

Il libro, è un flusso di ricordi inarrestabile, dettagliato, che racconta come in una pellicola, sensazioni , emozioni, dolori, cadute e corse con estrema naturalezza. Sullo sfondo c’è la Storia di un regime, un’autocrazia dove tutto era chiuso in schemi preordinati. E però, Miguel, sfugge a questi schemi, mantenendo l’educazione e lo stile ma procedendo con autodeterminazione, da solo. Consapevole di non poter attendere alle aspettative del padre e dell’amore freddo della madre, tra rotture e separazioni, il ragazzo si ritaglia un suo mondo. L’unica persona che cita sempre è la Tata Reme, “la sua spina dorsale”. La donna che in cambio di un tetto sulla testa, senza chiedere nulla, ha dedicato la vita alla cura dei piccoli Miguel, Lucia e Paola, proteggendoli, complice, amica di giochi e anche di tristi vicende. Sempre presente.

Nel raccontare con lucidità e anche tenerezza la sua infanzia e l’adolescenza, in Bosè non c’è rancore o risentimento: quella vita così insolita che il mondo, fuori, invidiava è stata una lotta per sopravvivere a tanto luccichìo e ciò che prima provocava dolore è narrato con grande serenità. Se non ci fossero stati i conflitti, probabilmente, non ci sarebbero state le riconciliazioni , col padre, in primo luogo, e Miguel non avrebbe trovato quella che poi è diventata la sua strada, come uomo e poi come artista.

In molte parti del libro vediamo il protagonista raccontare della scoperta della sessualità in modo esplicito, amore carnale e fraterno, libido e amicizia senza definizione di generi, con un erotismo che non ha morbosità perché naturale e spontaneo, quindi puro. Potremmo dire un testo senza pregiudizi, senza sovrastrutture.

Nei suoi racconti ricorrono aspetti meno noti di figure leggendarie che frequentavano la sua famiglia, come Picasso, Helmut Berger, il suo padrino Luchino Visconti, Romy Schneider, Amanda Lear e altre personalità tra le più significative dell’arte e della cultura del secolo scorso.
Tra gli aneddoti più significativi presenti nel libro, uno riguarda proprio la figura di Picasso, grande amico dei suoi genitori. Fu il celebre pittore il primo a portare Miguel, a soli quattro anni, a lezione di danza, facendo infuriare suo padre.
«Alla recita di fine anno mi feci la pipì sotto, perché ero vestito da nuvola e mi vergognavo», racconta ancora Bosé nel libro. Ma Picasso riuscì a salvare il piccolo dalla vergogna e dall’umiliazione: «Venne da me e mi disse: sei il più bravo di tutti. Sei l’unica nuvola che ha fatto piovere».

Bosè afferma di aver chiuso i conti con il padre: «L’ho perdonato», assicura. Con la madre, che anche dopo il divorzio dal torero era rimasta a vivere in Spagna, il rapporto è sempre stato simbiotico. Fin dall’inizio Lucia è stata la fan numero uno del figlio, pronta a sgolarsi in prima fila a tutti i suoi concerti. Ha difeso senza riserve le sue scelte e lo ha aiutato a crescere i figli, al punto che qualche anno fa si era trasferita a vivere a Panama con Miguel e i bambini, in modo da mandare avanti la famiglia anche quando il cantante era in tournée in giro per il mondo.
E anche nell’educazione dei gemelli, l’ombra di Dominguin è sempre stata incombente: «Come padre non gli somiglio affatto. Lui non c’era mai», ha raccontato Bosè, «quando andava a fare le corride in America, stavo 8 mesi senza vederlo. Io, invece, per i bambini ci sono e ci sarò sempre».
 
Il racconto termina negli anni Settanta, precisamente prima dell’esordio di Miguel Bosè del 26 Aprile 1977 che cambiò totalmente, dalla sera alla mattina, la sua vita. La parte artistica, invece, diventerà una bioserie che si sta attualmente girando e sarà distribuita da “Paramount Plus”.

Un uomo poliedrico ed eclettico, che nella sua carriera ha alternato la sua grande passione per la musica con il cinema, senza disdegnare la tv italiana. Di lui si è detto di tutto e di più, ma d’altronde questo è il pegno da pagare per coloro che possono dire davvero di avere assaggiato il gusto della popolarità.
È stato pronto a mettersi a nudo, a farci entrare nella sua vita e nel suo passato.
Un artista che, anche dopo trent’anni di successo, non si sente ancora arrivato ed è disposto a mettersi ancora in gioco. Come solo i grandi sanno fare.

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