Mi vivi dentro. Alessandro Milan e ciò che sta “oltre”
Recensione di Letizia Falzone. In copertina: “Mi vivi dentro” di Alessandro Milan, DeA Planeta Libri, 2018
Mi capita in poche occasioni di essere in difficoltà nel recensire un libro. “Mi vivi dentro” è un romanzo autobiografico che ti riempie l’anima, che ti spiazza. Ti sorprende, ti emoziona e alla fine non ci sono parole per poterlo descrivere e per rendergli giustizia. Un libro bello e potentissimo, che lascia senza difese, che racconta di chi ha amato e vissuto davvero.
È il romanzo di Alessandro Milan ed è il ricordo della propria compagna, moglie e amica Francesca Del Rosso. Il libro è un lungo, dolcissimo addio a questa donna vulcanica, ottimista e fortissima. Milan è un giornalista, certamente abituato a raccontare storie; eppure, per questo romanzo è diverso, perché in questo caso la storia è la sua. La prospettiva è necessariamente diversa, così come il coinvolgimento e l’intensità dei sentimenti.
Una storia d’amore come tante ma unica per la loro famiglia, una farfalla bella e colorata ma che in volo si è spezzata e cade dovendo arrendersi alle conseguenze della vita.
In realtà, Alessandro non si è dato per vinto, no anzi, lui con questo libro sta diffondendo la cultura della resilienza, ovvero, la capacità di un individuo di affrontare un evento traumatico o un periodo di difficoltà. L’autore ci sta provando, cerca di andare avanti di essere un buon padre per i suoi due figli rimasti orfani di madre, ma questo credo sia un percorso tortuoso e impervio e non è poi così facile mettere in pratica la resilienza.
Leggendo il significato di questa parola, mi sono detta che non sia così semplice seguire alla lettera questa definizione, ogni individuo reagisce al dolore in maniera diversa e inaspettata e non possiamo pensare che sia una cosa meccanica, ma dall’altra parte non credo nemmeno sia giusto lasciarsi andare e non reagire. Forse come si dice: solo il tempo guarisce le ferite.
Milan fa il ritratto delicato e divertente di Francesca Wondy Del Rosso, una donna a cui neanche il tumore ha portato via l’ottimismo e la voglia di vivere, tanto che tra una chemio e l’altra l’imperativo categorico è quello di festeggiare o viaggiare.
Ma chi è Francesca? Me lo sono chiesta leggendo la storia. Era una donna, una madre, una giornalista, ma ho scoperto che era anche molto di più, scrittrice e blogger. Nel sito della fondazione a lei dedicata “Wondy Sono Io” si legge questo di lei: “Francesca adorava leggere, scrivere e viaggiare. E sorrideva, sempre perché vedeva il bicchiere mezzo pieno, preferibilmente di mojito”. E da qui mi sono detta che doveva essere stata una grande donna e il racconto del marito me l’ha confermato. Una donna moderna, tenace, spiritosa, autoironica, ma anche poliedrica. Ha conseguito due lauree. Ha scritto cinque libri, uno dei quali parlava apertamente della prima volta che ha avuto il cancro e di una madre affettuosa e dolcissima con i suoi due bimbi. Per Alessandro, la sua famiglia e i suoi amici Francesca ha lasciato un grande vuoto difficile da colmare, quasi impossibile.
Francesca affronta a testa alta la sua malattia, ma questa le lascia delle profonde ferite, sia fisiche che interiori e non possiamo immaginare quanto sia stata dura per lei affrontare tutto questo; d’altronde, era così giovane, così piena di vita e doveva conoscere e viaggiare ancora e ancora.
Ha paura Francesca, lo capiamo tra le righe, ha paura e capisce che non c’è più nulla da fare. Alcune volte la malattia la spiazza e non capisce perché sia capitato proprio a lei, perché per ben due volte ha dovuto sopportare tutto quel dolore. Quello che ha passato Francesca è raccontato in “Mi vivi dentro” con una potenza narrativa che tramortisce. E lo fa perché non c’è una sequenza temporale nel libro, ma periodi che si sovrappongono come a ricordarci che la vita, l’amore, la malattia, la morte sono stati parte della stessa quotidianità, in quei sei anni dalla scoperta della malattia alla fine.
Ed è così che in una pagina ti ritrovi a voler bene a Wondy, perché è la ragazza delle feste a tema e i compleanni da celebrare, nella pagina successiva vorresti urlarle un po’ addosso, perché accidenti, almeno un uovo sodo potresti imparare a farlo anziché delegare tutto al povero marito. Poi arrivano le pagine in cui sei lei, pure se al massimo hai avuto 39 di febbre in vita tua. E vorresti che fosse ancora viva per abbracciare forte la donna che mutilazione dopo mutilazione, col corpo offeso, tagliato, ricucito, a un certo punto dice al marito “Se vuoi andare con un’altra io ti capisco”. Glielo dice senza rabbia. Glielo dice perché smette di sentirsi desiderabile dopo che il cancro s’è mangiato i seni e le sue certezze.
Quello che fa più male di “Mi vivi dentro” è leggere quelle parole di Wondy, quelle che ripete alla fine, in un letto d’ospedale, e cioè “Quello che mi dispiace di più di morire è il non veder crescere i miei figli” e che sono il distacco vero dalla vita. Quello più doloroso. Perché Wondy la vita se l’è bevuta, ha fatto su e giù per il mondo, ha amato, ha litigato, ha scritto perché scrivere era la sua passione, ha messo ombretti azzurri, abiti corti e calze colorate.
E nel frattempo, sperava di poter vincere. E alla fine ha perso. Ma come dice Alessandro, Wondy ha lasciato tanto al mondo. Perfino questo libro bellissimo, che non ha scritto lei, ma un po’ è come se lo fosse, e che ci lascia senza difese. E con l’immagine della sua bimba che il giorno in cui Francesca morì (e le fu detto), provò a chiamare la mamma al telefono. La mamma non poté risponderle, ma questo libro, un giorno, per lei e suo fratello darà tante risposte. Grazie Alessandro. Grazie Wondy, da adesso un pezzetto di Francesca vive anche dentro di me.