Una sessualità al servizio della specie

Una sessualità al servizio della specie

Articolo e foto di Martino Ciano. In copertina: “Metafisica della sessualità”, Arthur Schopenhauer, SE editore

Quando Schopenhauer si domandò cosa fosse l’amore, questa forza così persuasiva capace di portare addirittura alla morte, rispose a sé stesso che “esso è istinto sessuale più determinato, più specializzato, meglio individuato, nel senso più rigoroso del termine”. L’amore: inganno della natura, elemento che manipola l’individuo, il cui fine è la conservazione della specie.

“Tutto ciò è scandaloso”, gridarono all’epoca e potrebbe strillare qualcuno oggi. Schopenhauer rompe l’idillio e rende l’amore lo stratagemma più diabolico che la volontà di vita ha messo in atto per continuare indisturbata la sua opera. Questa forza che si muove cieca, libera, che crea senza apparente raziocinio, ha invece una sua mente e sa ordire tranelli. L’amore, quello focoso, impossibile da dominare, che travalica le regole e le strutture sociali, i pregiudizi, che addirittura porta al suicidio o alla disperazione eterna chi non riesce ad avere l’amato o l’amata, non è altro che uno schiribizzo della volontà di vita, la quale fa “accoppiare” coloro che produrranno figli forti e sani, utili al futuro della specie.

E in base a questa teoria, Arthur è anche convinto che la pederastia e l’omosessualità siano allo stesso modo escamotage messi in atto dalla volontà di vita proprio per non dare la possibilità ad alcuni soggetti di riprodurre creature deboli, che comprometterebbero il futuro della specie. E si badi bene, Arthur non ha pregiudizi e non considera entrambe delle perversioni o delle minacce, tant’è che i benpensanti si scagliarono contro di lui, accusandolo di difendere la “pederastia e l’omosessualità”.

Infatti, dice il filosofo, la storia è piena di tracce che confermano tale intuizione. Cos’è dunque l’amore? Qualcosa che in natura non esiste e che ha finalità poco nobili. Nonostante tutto, Schopenhauer si commuove per aver acquisito tale consapevolezza, perché riconosce che l’individuo è costantemente ingannato dalla volontà di vita. Bisognerebbe essere atarassici per uccidere questa forza oscura e dominatrice, che rende il mondo, in ogni istante, un giudizio universale. La natura sceglie il nostro partner, ci spinge l’uno verso l’altro, ma non c’è modo di capire perché ciò avvenga. Chiamiamo amore un istinto, e l’istinto ci governa; ma una volta soddisfatto, in noi c’è solo delusione.

Forse, deluso dall’amore fu proprio Schopenhauer? Il filosofo ammette anche il tradimento, perché quando Eros ammalia non c’è modo di tenere distanti due persone, non esistono ostacoli o vincoli, la volontà di vita guida entrambe e le unisce, infischiandosene delle regole e delle buone maniere; ma anche in questo caso, la finalità è una: la procreazione, la prosecuzione del progetto di questa forza oscura. L’individuo innamorato pensa di soddisfare un proprio piacere ma, in fin dei conti, soddisfa solo un’esigenza collettiva, di specie.

 

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