Tra Messia popolari e disoccupati

Tra Messia popolari e disoccupati

Articolo e foto di Martino Ciano

Rimandare sempre al futuro le cose migliori; prostrarsi al cospetto del mare nell’attesa di un Messia, anzi di un Guaritore dell’anima e del corpo; l’indolenza della lamentela, le braccia conserte di chi non vuole più lavorare o di coloro i quali hanno già ricevuto tutto e navigano nel mare quieto della catastrofe, sentendosi salvi, anche tra onde affamate. Cos’è questo mondo che mi circonda?

Oggi ho parlato con una lavoratrice che ha ricevuto la sua lettera di licenziamento, per qualche altro giorno sarà dipendente, attende con ansia il passaggio di stato in una disoccupazione svilente. Il fine-vita è nella sua firma posta con una grafia accigliata. Prima piange, poi ride, poi si azzittisce, poi sparisce. Si chiuderà in casa per pensare a una soluzione. Spero non sia l’inizio di una depressione.

Ma di che cazzo parlano i Signori dei salotti che si arrampicano sugli specchi della retorica. Mi appaiono tutte le sere in trasmissioni televisive in cui svuotano la parole di ogni significato. Devono litigarsi, devono gridare, devono prendere le parti di qualcuno, devono soffiare su un fuoco ormai spento. I sinistranti e le loro lezioni di sciccoso radicalismo, i destroidi che inventano slogan per cerebrolesi viziosi.

C’è vicino a me una pensionata al minimo che a 76 anni ancora deve arrabattarsi. “Povera in gioventù, povera in vecchia. Una vita di merda, insomma”. Quando morirà non avrà neanche i soldi per un degno funerale. Ha lavorato sempre da precaria, altro che boom-economico e “tempi migliori”. Mi racconta che ci sono stati giorni felici in cui le hanno venduto solo illusioni spacciate per opportunità. Se avesse cinquant’anni in meno farebbe saltare in aria i palazzi del potere.

Intanto, la casa umida le sta crollando addosso. I figli sono lontani, le mandano ogni tanto qualche spicciolo. “Non mi hanno abbandonata. Se ne sono andati per la disperazione, ché qui sarebbero stati operai sottopagati ed elemosinanti. A volte mi chiedo perché li ho messi al mondo”. Non si indigna di dire come la pensa. “I muri di queste stanze hanno sentito discorsi peggiori”.

La sensazione che il futuro sia una presa per il culo, un anestetico per cavalli imbizzarriti, mi accompagna da tanti anni. Questa Provvidenza, che a volte si invoca, o soffre di letargia o si offende per le bestemmie rivoltele. Ma sia ben chiaro, di questo tempo nulla mi piace, ché la voglia di demandare al Mercato, ai Consumatori e ai Burocrati la felicità mi è passata da tempo.

Mentre le discussioni sull’ex reddito di cittadinanza e la solita chiacchiera sui giovani che non hanno voglia di lavorare mi assalgono le orecchie, penso a quando il sole si spegnerà ed esploderà. Accadrà tra qualche miliardo di anni. È scritto e provato scientificamente, come questo giorno che sta finendo.

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