Marina e Ulay: un amore estremo
Articolo di Letizia Falzone
Da genitori partigiani della Seconda Guerra Mondiale, Marina Abramović nasce a Belgrado, in Serbia, il 30 novembre 1946.
È nell’ambiente domestico che Marina sviluppa l’interesse per l’arte, incoraggiata dalla madre e dal padre. Ed è grazie a loro che inizia a nutrire una grande passione per il disegno e la pittura. Si iscrive pertanto all’Accademia delle Belle Arti, laureandosi nel 1970.
Trasferitasi a Zagabria, in Croazia, pone i primi passi della sua carriera artistica iniziando a sviluppare la consapevolezza dell’artisticità del corpo umano e dedicandosi all’approfondimento della performance e della corporeità.
Nel 1976 lascia l’est Europa, e un matrimonio infelice alle spalle, alla volta di Amsterdam, di una metropoli e di una cultura più aperta e sensibile alla performance artistica.
Qui incontra per la prima volta l’artista tedesco Ulay.
Frank Uwe Laysiepen, “Ulay”, ex ingegnere tedesco, nasce a Solingen nel pieno della Seconda guerra mondiale, il 30 novembre del 1943. Si trasferisce ad Amsterdam alla fine degli anni Sessanta, lasciando moglie e figlio, attratto dal movimento artistico “Provo” di ispirazione anarchica. Inizia ad interessarsi alla fotografia sperimentando con le prime macchine fotografiche istantanee, fino a portare questa arte anche nella performance dal vivo.
I due si incontrano per la prima volta nel corso del 1976 alla Galleria d’arte Appel di Amsterdam, dove Marina era stata invitata per un programma televisivo dedicato alla performance art, ambito in cui si era già fatta notare per alcuni happening molto forti: è il 30 novembre, giorno dei loro compleanni.
Viene subito colpita dal fascino selvaggio di Ulay e da quel momento diventano inseparabili. Sono un “corpo a due teste” e per 12 anni il loro amore nutre la loro arte dando origine a una serie di performance passate alla storia.
Nei primi anni della loro relazione, Marina e Ulay vivono come nomadi girando l’Europa con un furgoncino. Sono “gli anni più belli della loro vita”, passati a presentare la loro arte di città in città attirando un pubblico sempre più vasto.
Durante le loro performance i due architettano situazioni precarie, pericolose e estreme mentalmente e fisicamente, portando i loro corpi al limite per stimolare nel pubblico una reazione.
Sono performance spesso sconcertanti, tutte centrate sul corpo, utilizzato come materiale, come mezzo artistico per condurre un’approfondita indagine su dinamiche sociali e relazionali.
Così battezzano la loro unione professionale con la performance “Imponderabilia”, nel 1977 alla Galleria d’arte moderna di Bologna. Interrotti dalle forze dell’ordine che hanno ritenuto troppo scandaloso questo estro artistico, si sono posizionati completamente nudi l’uno di fronte all’altra, sulla soglia di uno stretto ingresso che conduceva alla mostra. Il pubblico, che doveva necessariamente passare in mezzo ai due artisti, poteva girarsi verso il nudo maschile o quello femminile
In “Relation in Time”, sempre nel 1977, rimangono legati per i capelli per 17 ore mentre in “Rest Energy”, messa in scena a Dublino nel 1980, rimangono in equilibrio precario attaccati ai lati di un arco teso che punta una freccia dritta sul cuore di Marina: sarebbe bastato un minimo cedimento per farla morire. L’intento era di rappresentare la fiducia che l’essere umano ripone nell’altro, rischiando di subirne le conseguenze. Anche “Death Itself” ripropone un’arte performativa molto grafica e ricca di messaggi: Abramović e Ulay, baciandosi, respiravano l’aria dalla bocca dell’altro fino a perdere completamente i sensi.
La loro relazione viene così esposta senza maschere o protezioni allo sguardo del pubblico che con le sue reazioni contribuisce a creare la performance stessa e ne diventa parte.
Al culmine del loro amore, nel 1983, Marina e Ulay iniziano a progettare “The Lovers”. L’idea è quella di percorrere la Grande Muraglia Cinese da soli partendo dalle due estremità opposte per incontrarsi nel centro e lì sposarsi. La performance nasce come un’odissea colma di significati ancestrali che deve portare i due amanti a impegnarsi nel matrimonio. Le cose, però, fin da subito non vanno come previste.
La burocrazia cinese inizia a porre tutta una serie di ostacoli e ci vorranno 5 anni di insistenza e mediazione per ottenere i permessi necessari. In quei 5 anni le cose tra Marina e Ulay però cambiano e qualcosa, a un certo punto, si spezza.
Le divergenze tra i due sono sempre più stridenti: Marina è dedita al lavoro e pronta ad accogliere la fama che la aspetta, lui invece, anarchico e amante della solitudine, rifugge la celebrità ma, allo stesso tempo, subisce l’ombra del genio di lei.
Quando si incontrano a Bangkok per stabilire gli ultimi dettagli dell’impresa, la loro relazione è messa a dura prova: lui ha un’amante e lei è pazza di gelosia. Ma nessuno dei due vuole rinunciare al cammino sulla Muraglia.
E così, nell’estate dell’87, Marina e Ulay percorrono un tragitto che, se fisicamente li porta ad avvicinarsi, mentalmente ed emotivamente è il viaggio della separazione. Lei parte dall’estremità a ovest, la cosiddetta “testa del drago” e si inerpica per 90 giorni, accompagnata da una guida, sulle montagne della Cina orientale in un percorso estremamente faticoso e impervio. Lui attraversa il deserto del Gobi e arriva a destinazione più velocemente.
Ma al momento dell’incontro tutto diventa chiaro: “Ho pianto mentre mi abbracciava. Era l’abbraccio di un amico, non di un amante: il calore se n’era andato da lui. Avrei presto scoperto che aveva messo incinta la sua interprete durante il viaggio. Si sarebbero sposati a Pechino a dicembre”.
Da quel momento i due non si vedono più per 22 anni. Mentre la loro carriera prosegue in parallelo, nel 2009 ad Ulay viene diagnosticato un cancro, poco tempo dopo essersi trasferito a Lubiana. Utilizza la diagnosi della malattia come fosse un altro progetto artistico, tramite il quale interrogarsi sui grandi temi della vita e dell’arte, visitando i luoghi più importanti della sua vita e andando a salutare tutti gli amici. Da questo progetto verrà poi tratto un documentario nel 2013.
Marina e Ulay si rincontrano nuovamente nel 2010, e l’incontro avviene sotto gli occhi di tutti. Ulay, infatti, decide di recarsi a New York e partecipare alla performance “The Artist is Present” della Abramović al Museum of Modern Art, che consisteva nella possibilità data al pubblico di sedersi di fronte all’artista e guardarla. L’artista avrebbe dovuto rispondere allo sguardo del partecipante fissandolo, senza interagire con lui o lei, per guardarne la reazione, ma quando Marina si accorge che davanti a lei c’è proprio Ulay non può trattenere la commozione e prende le mani dell’ex compagno, anch’egli emozionato.
Il loro ricongiungimento ha toccato le emozioni dei due protagonisti ma anche del pubblico presente, diventando virale in pochissimo tempo e, per l’ennesima volta, diventando una pietra miliare dell’arte performativa.
La battaglia di Ulay contro il cancro è durata per circa dieci anni, tra cure, remissive e infine un linfoma che gli risulterà fatale il 2 marzo del 2020. Marina Abramović continua tutt’oggi la sua ricerca artistica.
L’artista serba oggi scende in campo e riprodurrà la sua performance più famosa, “The Artist is in Present”, per aiutare i civili ucraini rimasti nel Paese. La base d’asta per sedersi di fronte all’artista è di 16mila dollari e i posti disponibili sono solo due. La performance, “The Artist is Present: A Benefit Auction for Ukraine” avrà luogo il 16 aprile presso la Sean Kelly Gallery di New York, e ai vincitori sarà concessa l’opportunità di portarsi a casa il loro ritratto insieme all’artista scattato dal fotografo Anelli.
Di Marina e Ulay rimane indelebile il ricordo di un amore che con la sua arte – dalla forza estrema – ha segnato per sempre le loro vite e la storia della performance.