Sigmund Freud da che parte sta? Il racconto di Herbert Marcuse

Sigmund Freud da che parte sta? Il racconto di Herbert Marcuse

Recensione di Martino Ciano. In copertina: “Sigmund Freud” di Herbert Marcuse, Garzanti, edizione del 1971

Era il centenario della nascita di Freud, ossia il 1956, e lui, Marcuse, sentì l’esigenza di dedicargli un saggio; d’altronde Sigmund era stato l’uomo più amato e più odiato di quel periodo, colui che aveva lasciato tanti punti interrogativi, nonché il personaggio che aveva innescato un processo di revisione della società contemporanea dal “di dentro”.

Marcuse scrisse questo libro mettendoci una certa carica di ironia

Scorrendo le pagine del saggio si capisce che il filosofo tedesco, massimo esponente della Scuola di Francoforte, aveva una certa ammirazione per il padre della psicanalisi, ma anche qualche legittimo dubbio su di lui. Questo libro sorprendente si apre subito con un quesito: si può psicanalizzare il padre della psicanalisi?

Diciamo di “sì”, d’altronde anche Freud era un essere umano. Ma in secondo luogo, il Freud di Marcuse è un uomo scettico, moderato, pieno di dubbi persino verso le sue ricerche, tendente però anche a dogmatizzare alcune sue scoperte per poi pentirsene e fare dietrofront. Insomma, più che psicanalizzare gli altri, Freud legge se stesso e ne trae le conclusioni.

Laureatosi in medicina, il dottore viennese si dichiarò sempre un filosofo. Era un amante di Goethe, come tutti i tedeschi, e un ammiratore di Schopenhauer. Era impregnato fino al midollo della cultura mitteleuropea, ma non di quella a lui contemporanea; infatti, alcuni intellettuali del suo tempo li ignorò. Tra questi anche un certo Thomas Mann.

Un saggio per tutti e per nessuno

Seppur breve, appena 184 pagine, questo saggio, edito in Italia da Garzanti nel 1971, è denso ma allo stesso tempo per tutti. Forse, il primo che aveva necessità di chiarire alcuni aspetti sulla personalità del padre della psicanalisi era proprio il fan Marcuse. L’acuto senso critico dello “scolastico” tedesco tocca picchi stupefacenti.

Freud fu contestato aspramente dai suoi contemporanei, le sue teorie vennero definite “nemiche del buonsenso”. Dal canto suo, Sigmund se ne fregò fino a un certo punto; infatti, in lui pulsava lo spirito di quegli studiosi che vanno per la loro strada. Una direzione che scelse consapevolmente, rimanendo però in una zona grigia.

Freud infatti non impersonò nessuna parte, fece lo scienziato, quindi enunciò le sue teorie in maniera oggettiva, eppure le sue idee “etiche” toccarono punte di bigottismo inenarrabili. Anche se il suo discorso era incentrato quasi del tutto sulla sessualità, non era convinto della necessità di una emancipazione dei costumi; anzi, le borghesi allegre che attraverso il libertinaggio compensavano le loro nevrosi, per Freud, andavano “riportate nei ranghi”. Eppure, le sue teorie furono prese e usate per giustificare tendenze fuori dagli schemi.

Questo paradosso, certamente, aprì a diversi spunti di riflessione. Non dimentichiamo che Schopenhauer giustificò l’omosessualità come un contraccettivo che la natura, spinta dalla sola volontà di preservare la specie umana dalle storture, somministrava per evitare concepimenti nefasti. Ecco perché l’omosessualità era cosa “buona e giusta” per Madre Natura. Chi è quindi l’uomo per condannarla?

Tra la saggezza e l’ignoranza lievita la fantasia

Insomma, basta questo per comprendere quanto ogni uomo, sia esso di “penna” o di “zappa”, viva nella costante necessità di giustificare qualsiasi cosa e di trovare per ogni elemento una sua collocazione. Certamente, Marcuse non dice di “buttar via Freud”, anzi, piuttosto lo porta in una dimensione terrena, strappandolo tanto dal Cielo quanto dagli Inferi in cui certe scuole di pensiero lo avevano messo.

Nella sua vita privata, Freud era un uomo riservato. Voleva sapere tutto dai suoi pazienti, ma non svelava nulla di lui. Anzi, era ossessionato dalla possibilità che qualcuno potesse inserirsi nel suo giardino familiare. Ma come dice Marcuse, il buon Sigmund ha parlato di sé attraverso le sue tesi e gli esempi lì riportati; tant’è che alcuni suoi testi sono davvero autobiografie camuffate da studi scientifici.

Certamente, Freud è stato importante per aver dato agli uomini la consapevolezza della rimozione, dell’inconscio, del movimento repressivo che la massa attua sull’individuo, dell’importanza dell’amore nella società, della forza del desiderio e anche della conoscenza dell’angoscia.

Come certi teologi medievali, infatti, Sigmund considerava l’angoscia come quella paura nei riguardi dell’abisso che si scatena nel momento in cui l’uomo è totalmente libero. Perché la libertà, in fondo, è la cosa che l’uomo meno conosce, che più teme e che più lo spersonalizzerebbe. Questo pensiero è alla base di quella repressione che la società, il Super-Io e l’Es esercitano sull’Io, ossia colui che non è padrone neanche tra le proprie mura.

Tra questi paradossi, Marcuse dipinge l’uomo Freud che tutti noi sentiamo nostro.

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