Luna Pietra. Daniela Grandinetti e la ricerca della felicità

Luna Pietra. Daniela Grandinetti e la ricerca della felicità

Recensione di Martino Ciano già pubblicata per Gli amanti dei libri

Ci sono storie che raccontano di legami ancestrali con la propria terra e con i propri tormenti. Una lotta intestina si crea con la comunità di appartenenza, un rapporto di amore e odio che mai termina, perché noi non siamo solo il nostro luogo d’origine, ma anche il suo spirito. La verità è tradizione, è un insieme di segni immutabili che ci formano nel bene e nel male. Ovunque andiamo ce li portiamo dentro, e tanto più è doloroso lo strappo con l’origine, tanto più accanita è la ricerca delle cause che lo hanno provocato.

Daniela Grandinetti fa tutto questo nel suo romanzo Luna Pietra. Già il titolo è un sottile gioco di parole, perché toglie a questo corpo celeste la sua poeticità, la sua dolce pienezza, per rievocare nel lettore echi leopardiani, in cui ogni cosa assume uno sguardo indifferente. Cosma e Cettina sono due donne di epoche diverse legate dal sopruso. La prima morta durante un aborto clandestino, con il quale si cercava di occultare una storia truce di povertà e di prevaricazione, in un tempo in cui i padroni erano proprietari anche delle persone. La seconda invece è in cerca di sé stessa, in guerra con la sua famiglia e con la Calabria, regione nella quale è nata e in cui è stata sottomessa.

Lo scenario in cui tutto si muove è Sovara, un paese immaginario di una Calabria che invece ancora esiste, che non abbandona le proprie “verità”. Da adolescente abusata, Cosma diventa un fantasma che secondo le leggende si aggira per le strade del borgo quando su di esso si abbatte la tempesta. Si tramuta in una Furia che cerca vendetta, ma per l’appunto è ormai mitizzata, quindi inglobata in quel Pantheon locale di superstizioni e storie popolari attraverso cui la società si colpevolizza e si assolve, si denuncia e si impone il silenzio. Restare in silenzio non vuole dire solo occultare, ma è anche indice di saggezza, di profonda ammissione dei propri peccati.

Cettina invece è una donna che ha bisogno dei suoi spazi. Ama la tradizione, anche quando fuggendo dalla Calabria per “necessità ed emancipazione” proverà a tagliare i ponti con tutto e tutti. Fatto sta che le cose non vanno come dovrebbero e per uno scherzo del destino, lei dovrà ritornare nella sua terra d’origine, tra i suoi dolori e i suoi tormenti, vicino a Tilde, donna della saggezza e della pacatezza, segno di quel “tacito sopportare” che non è “arrendevolezza” ma “volontà di vita, sempre e comunque”.

Attraverso un impianto narrativo costruito con grande attenzione, questo romanzo è un cerchio in cui nulla si risolve davvero, ma in cui si aprono enigmi che spingono alla ricerca. Dalla storia di tre donne, ossia Cosma, Cettina e Tilde, si viene trascinati in una vicenda più ampia, che travalica anche i confini della Calabria, mettendo in mostra quella struttura fallace su cui si fissano, come chiodi, tutti i pregiudizi, tutte le violenze di genere, tutti i comportamenti omertosi. Si respira aria di Calabria tra queste pagine, ma anche di un’umanità conservatrice, impoverita dalle sue paure.

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