Ludovica. Noir atipico. Ultima parte

Ludovica. Noir atipico. Ultima parte

Racconto di Salvatore Conaci

«Mistero risolto», gli ho detto, «il ragazzo si è preso una cotta per una ragazza che frequenta la sua scuola. Regali su regali, nonostante lei continui a declinare.»
«Mi facevi seguire?», piagnucola il piccolo idiota.

Il mio cliente protesta subito. «Non era necessario che lui sapesse.»
«Non ha alcuna importanza cosa lei pensa che sia necessario. Contestualmente con l’inizio delle spese folli, suo figlio ha iniziato a tormentare quella ragazza. L’ha pedinata, l’ha riempita di insulti per strada; e si è spinto fino imbrattarla con della cola e a minacciarla, facendosi cacciare da un locale per questo.»

Si è girato verso il ragazzo. Aveva il fuoco negli occhi e un sorriso amaro come l’aceto. «È vero?»
Il ragazzo incrocia le braccia. «Non credergli, papà. È un maniaco. Tiene il corso sulla sicurezza a scuola e ne ha approfittato per abbordare Ludovica, la ragazza che mi piace. Li ho visti in auto insieme dopo la lezione, appartati nella pineta.»

Stronzetto senza scrupoli. Ho deciso di giocare secondo le mie regole. «Visto che continui a non capire, te lo spiego facile. Tengo quel corso perché tuo padre mi ha piazzato dietro quella cattedra, per poterti stare più attaccato al culo. Quando mi hai visto in auto con Ludovica, stavo raccogliendo una sua spontanea dichiarazione sulla tua condotta. Sei così preso da te stesso che non ti accorgi di cosa ti accade intorno, giovanotto. Stavi togliendo il sonno a tuo padre, e stavi terrorizzando quella ragazza. Sai cosa mi ha detto? Che i suoi genitori non sporgeranno denuncia se sparirai dalla sua vita. Solo in quel caso. Sono sul piede di guerra, pronti a rovinarti con un mare di testimoni.»

Lo stronzetto si è girato verso suo padre. «Papà, davvero gli credi?»
Di tutta risposta, suo padre gli ha mollato un ceffone da cambiargli la carnagione. «Sei un pericolo per te stesso, e una vergogna per questa famiglia.»
Ma quel piccolo figlio di troia non voleva arrendersi senza lottare fino alla morte. «Chiedigli almeno una prova di ciò che dice. Una!»

Brutto pezzo di merda. Dovevo zittirlo subito. «Se vuole», ho detto a suo padre, «possiamo convocare la ragazza e il barista che ha assistito alla minaccia. Ma visto che sono pagato per fare i suoi interessi, devo dirle che nel caso della ragazza la situazione si complica: è una minorenne, e convocare una minorenne implica il coinvolgimento dei suoi genitori, che non si presenteranno senza un legale. E invece, come ho detto poco fa, i genitori sono disponibili a non accanirsi su suo figlio, purché fin da subito sparisca dalla vita di Ludovica. Basta questo. Tutti felici.»

«Nessuno può dirmi cosa fare!», ha sbottato il piccolo imbecille.

Ma suo padre l’ha zittito con una seconda sberla. «E invece domani penserò io stesso a farti cambiare scuola, e quando vedrai quella ragazza le girerai al largo. Ho dato troppe cose per scontate, con te, ma la musica è appena cambiata, vedrai. E ora va’ di sopra.»

Il ragazzo se n’è andato piangendo. Bravo stronzo, vattene a fanculo dove non ti vedremo più.

«Come faccio ad avere la certezza che non denuncino quell’imbecille?», ha chiesto l’uomo, guardando suo figlio allontanarsi.
«Se mi garantisce che davvero la ragazza non verrà più tormentata, medierò io stesso.»
«Parola d’onore: mio figlio non sarà più un problema!»
«Perfetto, domattina mi recherò in veste ufficiale dai genitori della ragazza, e porrò fine io stesso a questa storia. Può tornare a dormire sereno.»

È caduto in ginocchio. «Non so come ringraziarla, mi creda!»
«Mi liberi da quello stramaledetto corso sulla sicurezza.»
«Lo consideri fatto!»
«Benone. Le mando la fattura domani, in mattinata.»
E me ne sono andato, cazzo.

Il giorno dopo ho incontrato Ludovica. Le ho dato l’indirizzo di casa mia, mi ha raggiunto nel pomeriggio. Le ho raccontato tutto; le ho detto che eravamo liberi come l’aria; che dovevamo solo viverci. E lei ha pianto di gioia. Alla radio passava un pezzo di Achille Lauro, Sabato sera. Abbiamo alzato il volume fino a far tremare i vetri, e ci siamo strafogati di fragole e salsa di cioccolato.

Non lo so, non lo so quanto tempo abbiamo passato a fare gl’imbecilli, a raccontarci, a fare l’amore. So che all’imbrunire si è rivestita e se n’è andata che avevamo già un appuntamento per il giorno dopo, e qualche piano per il giorno dopo ancora, e per le settimane a venire. Dallo smartphone si è levato il suono delle e–mail di lavoro.

Quelle del form per i nuovi incarichi. Ma io l’ho ignorato, e sono rimasto a letto a guardare il soffitto, con l’odore di lei sulle labbra, sulle dita, e dappertutto. A calcolare che sarebbe stato tutto così, avventuroso e clandestino, per almeno un anno scolastico. E Ludovica mi sembrava già il suono più fottutamente dolce al mondo.

Leggi anche:
Prima parte di Ludovica
Seconda parte di Ludovica
Terza parte di Ludovica
Quarta parte di Ludovica
Quinta parte di Ludovica
Sesta parte di Ludovica
Settima parte di Ludovica
Ottava parte di Ludovica
Nona parte di Ludovica

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