Linguistica dell’incoerenza. Wittgenstein e la capacità di “non conoscere”

Articolo di Martino Ciano già pubblicato per Zona di Disagio

Chiarire ogni proposizione che pronunciamo è un obbligo, perché al di là del linguaggio sono le nostre azioni che si manifestano nel mondo e che vengono giudicate. Nel momento in cui non vi è concordanza tra ciò che si proferisce e ciò che si mette in pratica, siamo disarmonici e ci sentiamo in difetto. La questione sembra abbastanza semplice, in alcuni casi viene semplificata con giudizi superficiali e privi di empatia. Ma cosa crea discordanza tra ciò che diciamo e ciò che facciamo, quindi, tra le parole dette e le azioni compiute? Siamo davvero bugiardi, o semplicemente cozziamo contro l’insanabile conflitto tra mondo delle idee e mondo dei fatti?

Non aderire completamente al proprio pensiero è un dramma prettamente umano, in quanto il primo nemico dell’uomo è la ragione. La ragione è un’area oscura, poco chiarificatrice, influenzata costantemente dalle condizioni esterne. La voce interna che alimenta il fuoco del pensiero, che mai si arresta e mai spegne le sue fiamme, abita la coscienza, luogo autentico, avulso dalle regole del mondo, ma che a volte guarda con troppa ammirazione ciò che sta fuori. La coscienza non è la casa degli istinti; essa è il piano superiore dell’istinto e l’istinto è la cantina dove gettiamo i panni sporchi. Il linguaggio è istintuale quando esprime brutalità, difesa, attacco, violenza, malessere. Un grido è prodotto dell’istinto, è la coscienza che gli attribuisce il significato di dolore.

Ma se il dolore è un termine che ognuno di noi può tradurre secondo le proprie esperienze, tanto da poterlo ridicolizzare con altri giri di parole, un grido si manifesta nettamente e ha per tutti lo stesso significato.

Se quindi la ragione crea spesso discordanza tra ciò che diciamo e ciò che facciamo, allora la prima causa del malessere umano sembra essere proprio la ragione!  E se è vero, come dice Wittgenstein, che il mondo è tutto ciò che accade, è altrettanto vero che per noi è impossibile non parlare di ciò che non conosciamo; questo perché ogni segno è sempre forma di qualcosa che scaturisce dalle profonde regioni dell’istinto; e più un discorso è senza senso, privo di logica, più mille significati ci appaiono davanti. In questo modo, anche se leggiamo qualcosa che non ci appartiene, lo intuiamo e lo rendiamo aderente al nostro linguaggio.

In questo lavoro di traduzione costante che usa la grammatica della sragione, pur parlando il linguaggio della ragione, si compie la discordanza tra ciò che diciamo e ciò che facciamo. Così la nostra coerenza appare molte volte un limite, un linguaggio forzato e privo di senso.

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