“Il disincanto e lo scandalo”. Quattro domande a Nicola Vacca sulla sua nuova raccolta poetica “Libro delle bestemmie”

“Il disincanto e lo scandalo”. Quattro domande a Nicola Vacca sulla sua nuova raccolta poetica “Libro delle bestemmie”

Articolo di Martino Ciano. In copertina una foto di Nicola Vacca

Uscirà tra qualche settimana per Marco Saya editore. Il titolo fa già presagire una raccolta tagliente, composta da versi che feriscono. “Libro delle bestemmie” di Nicola Vacca è pronto e noi abbiamo voluto porre qualche domanda al critico letterario, ideatore del blog Zona di Disagio e poeta pugliese.

Cos’è una bestemmia e quando diventa poesia?

Per quanto mi riguarda la bestemmia è un mondo irriverente di pronunciare una parola estrema. Una via di mezzo tra l’imprecazione e il vaneggiamento, senza preoccuparsi mai di disturbare chi legge. Ho provato in questo nuovo libro a bestemmiare con la poesia, cercando con le parole un affondo da scagliare contro le ipocrisie, le convenzioni e soprattutto contro i conformismi della ragione e della fede che limitano sempre la nostra idea di libertà. Sicuramente qualcuno si sentirà offeso, leggendo Libro delle bestemmie, ma me ne infischio. Quello che per me conta è non tradire il mio modo di scrivere e di dire le cose, soprattutto di scrivere quello che veramente penso. Questo è la bestemmia: scrivere senza inibizioni quello che veramente si pensa. È proprio in questo momento che la bestemmia diventa poesia. Come scrive Paul Celan, non è la poesia scandalistica lo scandalo. La poesia è lo scandalo. Oggi più che mai abbiamo bisogno di essere scandalizzati, perché solo così potremo svegliare le nostre coscienze e aprire gli occhi sul mondo che stiamo devastando, perché non abbiamo il coraggio di essere sinceri e apocalittici davanti alle macerie. Mi piace pensare a Libro delle bestemmie come a un breviario laico e eretico: Cesare Pavese ne Il mestiere di vivere scrive che ogni bestemmia è un colpo di martello sui chiodi della croce. In queste pagine il martello non smette mai di battere.

Il mondo come si digerisce?

Il mondo non va digerito, il mondo va sempre diffamato, attraversando le sue malvagie contraddizioni. Scrivo sempre in disarmonia con la mia epoca. La mia poesia prima di tutto è una diffamazione del tempo in cui vivo. Nei miei versi mi indigno senza remore contro la mia epoca, senza mai rinunciare a attraversarne i dissidi e i disagi. Vivo, scrivo e accetto la mia personale caduta nel tempo con gli occhi lucidi di un pessimismo che mi fa sempre restare umano.

La mattanza dell’incanto, la luce nera e la bestemmia. Traccia un percorso tra queste tue opere. La mia prima sensazione è stata il disincanto…

Il disincanto, hai perfettamente ragione. Non riuscirei a scrivere niente senza la lucida visione che mi offre il disincanto. È il mio modo di vedere le cose, l’unico che conosca per essere consapevole davanti alla coscienza. È il modo che mi permette di essere vigile nella scrittura e nella vita, che mi permette di parare i colpi degli illusionisti e degli utopisti che, con la loro miopia ottimista, ci vogliono sempre far sbandare da nessuna parte dove trionfa il vero nichilismo, quello delle illusioni.

Poeti di ieri e poeti di oggi. Cosa rimpiangi del Novecento e non solo?

C’è un Novecento da cui abbiamo ancora molto da imparare. Ed è proprio questo che mi manca. Il Novecento degli scrittori liberi e irregolari, che hanno deciso di appartenere alla propria coscienza e difendere la libertà a prescindere dalle ideologie. Questo è il Novecento cui da anni dedico i miei studi e i miei libri. Infatti, dopo Sguardi dal Novecento, pubblicato nel 2014, sempre per Galaad uscirà presto Mi manca il Novecento, in cui ancora una volta darò conto delle mie infatuazioni letterarie parlando con ammirazione di quelle figure intellettuali che nel secolo scorso sono state splendidamente capaci di restare integre, sempre fedeli a se stesse negli anni bui delle idee assassine e totalitarie. Il Novecento eretico degli irregolari, questo è il Novecento che mi manca, proprio come una bestemmia da pronunciare a cuore aperto. E che bestemmia sia nel nome della letteratura.

Bestemmia

Qualcosa qui non va
c’è tanta disperazione
sotto il cielo di un dio malvagio.

Sarebbe il caso di sopprimere
chi prega sempre la sua venuta
con il capo chino e le mani giunte.

Oscurare il funesto demiurgo
per tornare alla luce
liberarsi per sempre del terrore del dogma.

(Nicola Vacca, da Libro delle bestemmie, Marco Saya edizioni)

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