Lettere luterane. Pasolini, l’Italia e il potere
Articolo di Martino Ciano – già pubblicato su Zona di Disagio
Nell’Italia dei retori e dei demagoghi parlare di Pasolini è un vizio. Esaltato, criticato, amato, odiato, c’è stato presentato in tutte le salse. Si sono usati paroloni, si sono sprecati fiumi di inchiostro, nessuno però ne ha raccolto l’eredità.
Gli unici che hanno provato ad imitarlo sono stati gli amanti del complotto, che ancora oggi provano a spiegare i mutamenti storici attraverso tesi fantasiose, dimenticando, però, che proprio Pasolini non amava ipotizzare o tessere trame senza senso, ma analizzava i fatti.
Più di Scritti Corsari amo Lettere Luterane proprio perché in questi suoi articoli analizza con dovizia la situazione italiana. E lo fa così bene, che ancora oggi le sue parole sono attuali.
Questi articoli apparvero su Il Corriere della Sera, quando ancora la carta stampata aveva un valore. Venivano pubblicati con cadenza settimanale. L’ultimo era rivolto a Italo Calvino e porta la data del 30 ottobre 1975, tre giorni prima del suo assassinio. In questi scritti coraggiosi viene preso di mira il sistema. Pasolini fa nomi e cognomi, chiede il processo dei potenti democristiani perché colpevoli del degrado della società italiana. La Dc era il male assoluto per Pasolini, i suoi corrotti dirigenti avevano prima sfruttato i dogmi clerico-fascisti, poi quelli del consumismo. Questo passaggio è importante per l’intellettuale bolognese, perché proprio gli anni ’70 hanno portato quel falso progresso sinonimo di imbruttimento e di arretramento.
Pasolini pone sotto gli occhi di tutti i germi della spersonalizzazione delle masse, della globalizzazione economica e dell’omologazione dell’individuo. Per lui i primi ad essere caduti nella trappola sono i giovani del sottoproletariato, quegli eroi delle borgate e del Mezzogiorno di Italia, che vivevano di una cultura propria, vera, ricca di simboli. Parlavano una lingua viva, un dialetto che si arricchiva ogni giorno di nuove espressioni, di parole autentiche che sapevano rappresentare la realtà. Il progresso, invece, li aveva resi sciatti, ricercatori di un benessere che era asservimento e che li collocava in una dimensione piccolo-borghese, entro cui l’unica aspirazione era la roba.
Sia ben chiaro, Pasolini era per l’emancipazione del sottoproletariato, ma questa doveva avvenire con altri mezzi. Il progresso non doveva essere solo economico, ma soprattutto umano. Per questo motivo egli sputa veleno contro la televisione e la scuola dell’obbligo, che in Italia erano mezzi nelle mani dei potenti democristiani.
Vero è che Pasolini fu sempre un intellettuale comunista, mai prenderà le distanze da un partito poco democratico, come fecero molti suoi colleghi. Forse questa è stata la sua unica pecca, ma in Lettere Luterane non mancano le frecciatine al Pci. Infatti, lo definì un partito troppo mite in alcuni momenti e sempre pronto a creare dirigenti piccolo-borghesi valutabili con il metro della roba e in preda alla febbre consumistica.
Pasolini è un mondo a sé. Va letto e riletto, scoperto e riscoperto. Va estrapolato dalla sua epoca e rivalutato in un contesto più ampio, fuori dalla storia come si fa con i profeti. Voleva l’educazione sessuale nelle scuole, chiedeva un processo al potere, anticipò con Petrolio la fine della Prima Repubblica e l’incompetenza dei futuri politici, lesse nel profondo la società italiana.
Il potere è l’unica vocazione autentica degli italiani. Penso di non aver mai letto in nessun altro intellettuale una frase così vera.
1 commento
ho trovato interessante questo articolo. Se può interessare qui https://leonardostuni.wordpress.com/2017/07/30/ragazzi-di-vita-viaggio-borgate-romane-dopoguerra/ parlo del primo romanzo “Ragazzi di vita”, mentre qui https://leonardostuni.wordpress.com/2017/08/24/pasolini-e-nemico-televisione/ del rapporto complicato tra Pasolini e la televisione, prendendo spunto dall’articolo “Sfida ai dirigenti della televisione”.
I commenti sono chiusi.