Lettere dal Lockdown. Un ricordo

Articolo di Alberto Manzi

Così ti voglio scrivere caro amico mio, in questi giorni in cui è più forte il profumo del bosco.

Sarà che le macchine sembrano scomparse e di tir non si sente lo sbuffo, ma li, dalle cime innevate del bellunese, il profumo del muschio mi arriva forte. Sarà che ormai vorrei anch’io ritirarmi tra i faggeti per sentire il rumore di un ramo spezzato da chissà quale abitante del bosco o, forse, solamente per sentire il rumore del silenzio e farne parte, così da purificare le orecchie e l’anima da questo inquinamento che ci circonda.

Le gemme stanno spuntando anche qui, ignare che questo caldo è un trucco per farle morire, e nulla più fiorirà in quest’anno dai numeri pari, in cui sembrano ascoltate le “preghiere” dell’io-dio. Non ci possiamo nemmeno più stringere la mano e, per la gioia di molti, neanche salutare con il vicino; sì, quello scontroso, perché ormai tutti sono scontrosi.

Così come le gemme ingannate dal caldo, barcolliamo ingannati da questo vile consumismo, vile e vigliacco ma, nonostante noi, vincitore. La vedo la neve dalla mia finestra, amico mio; vedo gli alberi che si ergono da centinaia di anni. Loro hanno molto da raccontare su virus andati e su antidoti di pace.

Mi manca la casa nel bosco dove ci si sedeva sulla veranda a sorseggiare il distillato di pino mugo, magari soffiando del buon tabacco. Resta lì amico mio, non scendere a valle, non troveresti nessuno ad accoglierti, nessuno ad abbracciarti perché è vietato. Ora è vietato abbracciarsi, finalmente evapora l’ipocrisia di sterili saluti del finto volersi bene.

Ma i tuoi abbracci mi mancano, amico mio. Tu che come un buon vecchio albero hai proteso per me le mani al cielo da un legno incrociato.

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