Lealtà (Terza parte)

Racconto di Salvatore Conaci

Era sempre riuscito a ottenere qualunque cosa volesse, ma lo scandalo di avvicinare una donna impegnata lo repelleva. Poteva mai — si chiedeva — macchiare sé stesso, e il buon nome della sua famiglia, fino a quel punto? Da un po’, però, la sua volontà aveva iniziato a vacillare. La sofferenza stava diventando molto più forte di ogni principio morale.

Un secondo tuono gli fece sollevare la testa dal pianoforte. Quando un terzo, ravvicinato lampo abbagliò la finestra, i suoi occhi rabbiosi luccicarono nel buio della sala come quelli di un demone nella fase più concitata di un esorcismo. Alle sue spalle, apparve una sagoma scura. Quella di chi non lo lasciava mai solo; di chi poteva permettersi d’ignorare i comandi: Leila. Sua coetanea, era nata nel castello da una famiglia di contadini che serviva i padroni da generazioni. Hermes l’aveva sempre voluta accanto a sé, anche nei locali più intimi del castello. Il loro era un legame viscerale. I due passavano pomeriggi interi a leggere, chiacchierare e confidarsi. Avevano trascorso i loro anni più belli passeggiando nei labirintici giardini della tenuta, e a scrivere fini versi mai resi pubblici, ma letti, vicendevolmente, solo tra loro, all’ombra tiepida e rassicurante della biblioteca dei Degli Alani. Al paese, molti avevano malignato sul loro rapporto, ma i pettegolezzi non avevano mai trovato respiro al castello.

«Smettila di tormentarti, Hermes! Smettila, hai capito?!», lo ammonì Leila, ancora nell’ombra.

Hermes non si voltò neanche. «Non ti avevo, forse, chiesto di non avvicinarti?»

«Avrei compiaciuto te, non me. Pensare che ti stai distruggendo, per una causa impossibile, mi strazia!»
«Causa impossibile, dici? Bada a come parli! Non sono mai stato uno sciocco. Non accetto, ora, di essere trattato come se lo fossi!»
«Non sa neanche che esisti, ed è promessa a un altro uomo!»

Hermes continuò a fissare il vuoto: «Hai detto bene, non sa che esisto. Farò in modo che lo sappia!»

«Hai perso la ragione, Hermes! E…»; ma lui la interruppe immediatamente: «Sì! Sì, l’ho persa! Moira me l’ha portata via! Tutto ha un senso, amica mia! Conservazione. Sopravvivenza. Cerchiamo ciò che ci manca. Lei ha ciò che mi manca!»
«Lo fai sembrare un circolo vizioso.»

Hermes rise, tetro: «E cosa credevi che fosse l’amore?!». Un lampo illuminò il suo viso emaciato, e fece brillare i suoi canini perfetti. In quel ghigno, Leila vide un estraneo. Quella grinta feroce non era determinazione, ma una totale assenza di freni. Lo capì solo allora: Hermes non avrebbe avuto pace, non avrebbe provato sollievo da quel dolore, finché non avesse fatto sua quella donna. «E sia, allora! Lascia che ti aiuti in questa follia, almeno!», sbottò.

«Lo faresti davvero?», chiese Hermes, portandosi davanti a lei in un paio di falcate, con uno scatto inumano.

Leila gli affondò le dita nei lunghi capelli. «Davvero», sussurrò, facendolo chinare dolcemente sul suo seno. Per quella notte, smise di tuonare.

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