Lealtà (Sesta parte)

Racconto di Salvatore Conaci

Un’ora passò velocemente. La carrozza partì, e il viaggio verso il castello fu scandito dai discorsi di Hermes e Moira, che discutevano di letteratura con fervore, coinvolgimento, passione. Le loro idee erano discordanti, e questo li trascinava spesso in accesi scontri intellettuali. Ogni volta che accadeva, ogni volta che Moira guardava Hermes negli occhi con un’agitazione mai vista prima, Bastian si sentiva divorare dalla gelosia.

I cavalli, però, raggiunsero il castello prima che il suo fastidio esplodesse. Oltrepassati i due possenti molossoidi in pietra a guardia del portone d’ingresso, i quattro si trovarono in un atrio traboccante di lusso, accolti dalla servitù. Hermes dispose che fosse preparata una cena degna di ospiti d’eccezione. Poi, quando il personale sparì per mettersi al lavoro, portò tutti al piano superiore per attendere il medico che avrebbe dovuto occuparsi del ginocchio di Leila. Tutto funzionava alla perfezione, secondo un piano congegnato con attenzione maniacale. La servitù aveva finto di non conoscere Leila, e lei recitava bene la parte della sconosciuta incantata dalle bellezze del castello. Il dottore non tardò ad arrivare, e Bastian provò subito a marcare il territorio: «Salve, collega. La paziente mi è piombata addosso al mercato, e cadendo si è semplicemente sbucciata il ginocchio. Una discreta contusione, ma pur sempre una contusione. Nient’altro.»

«Sono stato chiamato dal signor Degli Alani. Lasciate che sia io a stabilire cos’ha il ginocchio della paziente, collega!», fu la risposta.

«Siete voi che dovreste stare attento a dove mette i piedi. Io correvo per la mia strada, e voi vi siete parato davanti come un muro. Quasi come se non voleste lasciarmi passare!», rispose Leila, impettita ed esagerata, facendo sorridere Moira. Bastian non rispose altro, ma guardò con amarezza la sua promessa, che non sprecava per lui una sola parola di comprensione.

Il tempo per separarli era maturo: «Bene,» disse Hermes, «approfittate della situazione per chiarirvi. Io porterò Moira alla biblioteca, per farle leggere qualcosa».

«Un momento, vengo con voi!», accennò Bastian, che venne però ignorato dai due, già lontani e intenti a riprendere le discussioni lasciate a metà nella carrozza. Fece per seguirli, ma il suo collega lo incatenò sul posto: «Dico, non vorrete certo lasciarmi solo con la paziente, dopo averle procurato una brutta caduta?! Santo cielo, dite di essere un dottore: restate e aiutatemi a preparare una soluzione disinfettante. Non siamo giù all’ospedale del paese. Qui i pazienti si assistono!». Quando il medico finì di dire quelle parole, i due erano spariti. Bastian non ebbe scelta. Era già stato biasimato abbastanza, perché tutti avevano deciso che era colpa sua, se ora quella donna aveva bisogno di cure mediche. Era uno stupido graffio, su uno stupido ginocchio che funzionava alla perfezione. Ma era colpa sua: rimase lì, con Leila e il suo collega, mentre la collera tornava a invaderlo rinnovata e ineluttabile.

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