L’arazzo algerino. Antonio Pagliuso e il “pregiudizio sommario”
Recensione di Martino Ciano già pubblicata per Gli amanti dei libri
Tra la verità e la bugia può insidiarsi qualcosa che va al di là di ogni ricerca o conferma dell’una o dell’altra, ossia il pregiudizio. Antonio Pagliuso si muove in questo campo, che può tanto restringere l’orizzonte quanto allargarlo a dismisura. E così, tentennando da una parte e dall’altra, senza troppi artifizi letterari, visto che il fatto in sé è sempre incolore e privo d’ogni giudizio formulato aprioristicamente, ci inoltriamo in questo romanzo che non pretende di essere un “giallo”, ma un’allegoria sull’ambiguità della ragione umana.
Il Sud Italia e la sua vita di provincia racchiusi in un paese immaginario: Longadonna. I Lemoine, famiglia di origini francesi da tempo stanziatasi in questo luogo avulso dal resto del mondo. Un commissario turbato, ma anche frustrato, quale Ettore Meli, chiamato a indagare sulla morte della giovanissima Polina, primogenita dei Lemoine, e ragazza su cui sono riposte tante aspettative. Disposti gli elementi principali sulla scacchiera, ecco che pian piano il filo del discorso si dipana sempre di più, perché è proprio questo il gioco che fa Pagliuso, una sorta di viaggio a ritroso per consegnarci tra le mani un gomitolo ben avvolto, in cui il solo indizio in nostro possesso è quel pregiudizio che muove il mondo di Longadonna, così come l’indagine di Meli, in un’unica direzione, verso un finale già pensato e scritto dal destino, abbracciando il più visibile degli errori celato da verità inoppugnabile.
Lo dice stesso l’autore calabrese che uno dei suoi scrittori preferiti è Leonardo Sciascia e, leggendo queste pagine, possiamo dire che è in quella capacità del “maestro siciliano” di mettere in rilievo la contraddizione che sta nella giustizia umana, basata sulla ragione e, nonostante le riforme e l’emancipazione dei concetti, sugli arcaici principi fondativi della legge del taglione, che Pagliuso anima i suoi personaggi. Al di là dell’omicidio di Polina, è la società di Longadonna che ha già emanato il verdetto; è l’opinione comune che trova forza nel pregiudizio e che ha già deciso chi sono i buoni e i cattivi, i puri e gli impuri. Nessuno si salva, neanche un colpo di scena libera da ciò che è stato cucito addosso dalle generazioni passate. Ogni personaggio è fenomeno della sua coazione a ripetere, anche se quell’impulso inconscio non esiste, ma è un ipotetico retaggio elevato dagli altri a essenza dell’individuo.
Pertanto, più che un “giallo”, L’arazzo algerino è un romanzo che indaga sulla potenza del pregiudizio che tutto corrompe, rendendo vana ogni possibilità di redenzione.