Maniac. Benjamín Labatut e la ricerca degli “dei artificiali”
Recensione di Martino Ciano. In copertina: “Maniac” di Benjamín Labatut, Adelphi, 2023
Ad un certo punto, gli uomini hanno iniziato a cercare il senso delle cose e subito hanno compreso quanto fosse impossibile; così, spinti dalla necessità di andare oltre, come se tutto dovesse essere conoscibile, catalogabile, alcuni tra loro hanno cominciato a pensare a un dio nuovo di zecca; un’entità capace di svelare persino l’essenza delle cose.
Dapprima, però, questa divinità era un po’ somigliante ai suoi creatori, una sorta di essere superdotato ma non del tutto libero d’agire, tant’è che andava costantemente seguito ed educato; solo nel corso degli anni ha ricevuto le informazioni necessarie per costituire in sé una cosa che, ancora oggi, resta misteriosa per gli uomini: la coscienza. Questo processo di formazione del nuovo dio è in atto, l’origine è però lontana.
Tutto parte dalla scoperta dei limiti della logica, della razionalità, della comprensione, della matematica. Man mano che il progresso va avanti, qualcosa si scopre ma tanto si perde. Le fondamenta di ogni scienza cominciano a vacillare, persino l’idea di “contraddizione” viene messa in dubbio. Infatti, un tizio di nome Kurt Gödel, mingherlino, timido, incapace di esprimersi bene, pronto a digiunare pur di rimanere magrissimo, a un certo punto sostiene che nell’aritmetica vi sono delle cose che, anche se vere, non sono dimostrabili. Infatti, se tutto è troppo coerente, ossia senza contraddizioni, allora c’è incompletezza.
Ma prima di lui, già i primi studi del mondo atomico misero in mostra che quelle particelle si muovevano un po’ come volevano, facendo cose bizzarre, caotiche, impossibili da calcolare come per gli avvenimenti “a misura di uomo”. Alcuni impazzirono letteralmente e iniziarono a credere di trovarsi davanti a Dio, quello vero, quello che non si lascia conoscere; altri, invece, sostennero di essere di fronte a un demone che, prima o poi, si sarebbe impossessato del mondo con lo scopo di distruggerlo. Pensate che un tale Paul Ehrenfest, che tanto aveva avuto a che fare con la meccanica quantistica, il 25 settembre 1933, decise di sparare prima al figlio, affetto dalla sindrome di Down, e poi di togliersi la vita. Logicamente, quel tragico episodio fu solo l’epilogo di anni tormentati.
La storia va avanti e incontriamo un altro genio, ossia John von Neumann, un ungherese che, studiando al fianco di Hilbert, si convinse di poter “convertire” in formule matematiche “la meccanica del nostro cervello”, cercando di carpirne gli “algoritmi”. Nel mezzo, però, c’è la guerra. Man mano che il nazismo invade l’Europa, queste eminenze grigie ma con tante di quelle ossessioni da apparire, tra la gente comune, come dei disadattati, fuggono negli Stati Uniti e collaborano tra loro. Il progetto era ambizioso e oggi è meglio conosciuto come “bomba atomica”.
Tra contrari e favorevoli, visto che molti di fronte a quell’esplosione si spaventarono, e non poco, Von Neumann era convinto che quell’ordigno fosse necessario. Addirittura, un suo conterraneo arrivò a crearne uno ancora più potente denominato “bomba all’idrogeno”. Ma Von Neumann era un visionario e iniziò a lavorare alla sua creatura migliore “Maniac”, un calcolatore che avrebbe dovuto matematizzare ogni cosa, magari anche sostituire il fantomatico Dio venerato dagli uomini.
Morì nel 1957 a causa di un cancro. Nonostante tutto, fino alla fine ha cercato di non morire; sperò infatti di “prolungarsi” nel mondo virtuale. Ma la storia non termina qui. Arriviamo ai nostri giorni, quando scacchisti e giocatori di “go“, una disciplina orientale nata millenni fa, pregna di taoismo, cominciano a sfidare le macchine, con il risultato che “l’intelligenza artificiale” stravince per la sua freddezza e per la possibilità di calcolare in pochi secondi gli scenari futuri per ogni mossa appena compiuta.
Ed ecco il libro di Labatut, il quale ci racconta di uomini che vogliono superare l’umanità, che vogliono mettere in soffitta questo cervello di cui ancora si sa poco. Ma perché affidarsi alla potenza umana, visto che un calcolatore sa ormai anche pensare, o meglio ancora, inizia a produrre una sua coscienziosa indipendenza? Ci sono il transumanesimo e la letteratura tra queste pagine, gli scenari inquietanti di un mondo che cambia pensando già al dopo-uomo. La combinazione è letale, oltre che affascinante, perché vedremo come questi scienziati siano seriamente preoccupati da ciò che stavano scoprendo.
Cos’è la scienza quando si riempie di pensieri umani che ne scardinano l’oggettività? La risposta la dava anche von Neumann che, davanti alla possibilità di una escalation atomica tra Usa e Russia, non nascondeva il suo innamoramento verso un mondo dominato dalla pace che solo gli Stati Uniti potevano imporre all’umanità. E come raggiungere questo? Sganciando bombe atomiche nelle aree ostili, in cui le minacce dittatoriali erano presenti. E tutto ciò veniva pensato non solo tra alcol e risate, ma anche attraverso formule matematiche che promettevano la massima precisione sull’andamento del futuro.
Follia? No, se pensiamo a cosa si sta producendo e alle prospettive, favorevoli e non, che l’intelligenza artificiale ci donerà. Eppure, è o non è l’uomo che ha avviato questo processo? Non è lui il demiurgo che sta disturbando i demoni della fisica? Se questo è il nostro punto di vista, allora il libro di Labatut racconta perfettamente della volontà di annientamento da sempre innestata nell’uomo e nella sua parte più misteriosa, ossia la coscienza.