La strada in mezzo. Terza parte

Racconto di Gennaro Lento

Strada in mezzo, notte di luna piena. Canazzu con la mano fa un segno all’uomo alla sua destra, che subito scivola dietro uno dei paracarri. L’altro uomo, immobile nella notte, aspetta l’ordine. U’ lientu vede tutto dalla finestra, il dito sul grilletto. L’uomo immobile si muove, fa un passo verso la strada. La fucilata riecheggia nella notte come un colpo di cannone, il riverbero del suono rimane nell’aria per parecchi secondi, prima di risalire piano verso la luna.

Il bersaglio si ritrae velocemente. Non è ferito, il colpo l’ha solo sfiorato. U’ lientu ricarica con calma il fucile. Sua moglie ha le mani a coppa sopra le orecchie. Nei suoi occhi non c’è paura. Si guardano. Canazzu arma il suo fucile e lo punta verso la finestra. Spara. L’impatto del proiettile contro il muro solleva uno sbuffo di polvere bianca. U’ lientu abbassa istintivamente la testa, la polvere entra dalla finestra e gli pizzica le narici. L’uomo nascosto dietro al paracarro guarda Canazzu che, con un gesto della mano, gli fa segno di aspettare.

– Cosa fanno, – chiese Antonia.
– Niente, aspettano. Stanno cercando di capire come attraversare la strada.
– Hai paura?
– No, – mentì. – E tu?
– Se non ce l’hai tu non ce l’ho neanche io.
– E lei? – indicò con il mento il ventre di Antonia.
– Non ha paura di niente, lei, – rispose Antonia, scoprendo un filare di denti bianchissimi.
– Brava bambina.

I due uomini sono pronti a scattare, gli occhi fissi su Canazzu. Sono tesi, i muscoli pronti all’azione. Canazzu fa un segno deciso con la testa. Partono insieme, uno a destra e l’altro a sinistra. U’ lientu non si fa cogliere impreparato, prende calmo la mira e spara a quello più vicino, che già è in mezzo alla strada illuminata d’argento. La detonazione è seguita da un tonfo più sordo, quasi attutito. L’uomo ruota su se stesso con una piroetta e crolla a terra con un lamento. Poi comincia a strisciare verso il bordo della strada. Con prontezza u’ lientu punta il fucile verso l’altro uomo e spara ancora. Il suo cappello vola a terra, per un attimo l’uomo resta come inebetito. Poi, velocemente, torna indietro.

Sangu i Gesucristo! – esclamò Canazzu, – chissu spara cumu nu riavulu, questo spara come un diavolo. – Ammucciàtivi! nascondetevi, urlò ai suoi.

Non se lo aspettava Canazzu, era disorientato. Non si aspettava di trovare una simile resistenza, credeva di avere a che fare con un ragazzo impaurito e invece si trovava di fronte un uomo armato. E che sapeva usare il fucile.

Chiese al ferito come si sentisse. – M’ha grupatu na spalla, ‘stu canu arraggiatu! Mi ha bucato la spalla, questo cane rabbioso, sibilò a fatica.
– Statti fermo, un ti mòviri ca ci pinzamu nua, stai fermo, non muoverti che ci pensiamo noi.

La situazione stava prendendo una piega imprevista. Canazzu ragionò rapidamente sulle cose da fare e si rivolse all’altro uomo.
O’, t’ha sienti? ehi, te la senti?
Sempri, Canà. C’amu fari? come sempre. Che dobbiamo fare?
Iu cumìnciu a ci sparari n’cuollu ccu tutti l’armi e tu passi a strata e rumpi a porta iru magazzinu, io comincio a sparargli addosso con tutte le armi e tu attraversi la strada e forzi la porta dell’emporio.
Sugnu prontu, fammi signu, sono pronto, fammi un segno.

Canazzu caricò rapidamente il fucile e la pistola che aveva addosso, poi impugnò il fucile del ferito e fece lo stesso, mettendoselo vicino.
– Vai mò!

Il primo colpo centra la parte alta della finestra, frantumando le stecche di legno. U’ lientu mette un braccio sopra la testa per coprirsi dalla pioggia di schegge. Un attimo dopo striscia verso la finestra di fianco.

Il secondo colpo prende il muro sotto la prima finestra, senza fare danni.

Intanto l’uomo si è portato a bordo strada, pronto a lanciarsi verso l’emporio. Canazzu imbraccia l’altro fucile e spara ancora verso la finestra, distruggendone la metà superstite. Al suo posto adesso c’è un buco nero, mentre la stanza s’illumina di luna. Senza farsi distrarre dai colpi alla sua sinistra u’ lientu infila la canna del fucile in una fessura della seconda finestra e prende la mira.

L’uomo è quasi dall’altra parte della strada quando un proiettile sibila appena sopra il suo orecchio destro, provocandogli una lacerazione della pelle. Il sangue comincia a scorrergli sul collo.

Il secondo colpo lo raggiunge sul braccio sinistro, frantumandogli il polso. Urla. Si butta a terra e rotola verso il bordo strada. Canazzu continua a vomitare proiettili dalla sua pistola e vuota il tamburo prima di accorgersi che il suo uomo è stato respinto. Un silenzio irreale cala sulla strada, si sente solo il riverbero fragoroso delle detonazioni, come un’eco sovrapposta più volte. Nell’aria il puzzo acre della polvere da sparo si mischia a quello del pulviscolo sollevato dall’impatto dei proiettili con le cose. Alla luce della luna sembra una pioggia d’argento. La strada in mezzo è vuota.

Chissu n’ammazza a tutti, – sibilò tra i denti l’uomo, tenendosi stretto il polso.

Canazzu lo guardò di sbieco, seduto con le spalle appoggiato a un paracarro. Pensò che se quel diavolo con il fucile avesse avuto davvero l’intenzione di ammazzarli niente avrebbe potuto impedirglielo, con quella mira non poteva sbagliare. Non voleva ucciderli, stava solo difendendo la sua casa e la sua famiglia, come avrebbe fatto lui se fosse stato al suo posto, solo con più rispetto. Lo rispettava, il diavolo lo rispettava.

Chi facìmu? – che facciamo, chiese l’altro uomo. Canazzu distese il fucile accanto alla gamba, tolse il cappello e iniziò a lisciarsi la testa.
Nenti. Aspettàmu ca fa jùornu, – niente, aspettiamo che faccia giorno.

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