La strada in mezzo. Seconda parte
Racconto di Gennaro Lento
– La Madonna ci vuole bene, – disse u’ lientu guardando ancora una volta fuori dalla finestra chiusa. La luce della luna l’avrebbe aiutato a vedere quello che doveva vedere. Sua moglie masticava lentamente un pezzo di pane accompagnato da formaggio duro, di quello che facevano nelle campagne. Brava ragazza, pensava lui, sarà una brava madre, come sua madre e come la mia. Gente abituata alla fatica come a respirare, senza lamentarsi mai e senza grilli per la testa, che già si campava a fatica. Donne silenziose e affidabili fin da bambine, che imparavano presto a reggere le redini della casa con giudizio e parsimonia, compagne di uomini ombrosi e irrequieti come quel paesaggio, un poco pianura, un poco collina, un poco montagna. Stavano bene insieme, u’ lientu e sua moglie, e altro non avrebbero immaginato di desiderare, pensavano di essere nel posto giusto e di esserci nel modo giusto.
Appena sposati, e contro il parere delle famiglie, decisero di aprire l’emporio sulla strada principale, che tutti chiamavano ‘a strata i mmìenzu, la strada in mezzo, perché attraversava il loro mondo tagliandolo a metà. A quella gente, abituata da sempre a vivere dentro lo spazio angusto di una fattoria, sembrava una pazzia bella e buona. Cchì s’avìanu misu ‘ncapa, cosa si erano messi in testa quei due, così giovani e digiuni delle cose del mondo, di andare a vivere da soli e senza aiuto, lontani da loro, dalla famiglia e dalla sicurezza, chissà che pensavano, forse di essere più intelligenti degli altri, tiègnunu ancora l’uocchi chiusi cumu i gattarielli, hanno ancora gli occhi chiusi come i gattini appena nati, Santa Teresa aiutali tu, che non c’è peccato più grande della superbia, aiutali, facci cangiàri a capu, fagli cambiare idea.
Santa Teresa non fece il miracolo e i ragazzi continuarono a non curarsi troppo delle parole e delle preghiere dei vecchi. Condividevano l’idea che quella strada fosse una promessa di novità, l’unico modo per stabilire un contatto con il resto del mondo e uscire dalle pareti ristrette di una vita già segnata prima ancora di nascere. Riconoscevano quella sensazione l’uno nello sguardo dell’altra ed era davvero difficile per loro spiegarsi a parole. Rimisero a posto una vecchia costruzione a due piani appartenuta a un parente morto in guerra e ne fecero casa e bottega.
La scelta si rivelò presto molto saggia, visto che non c’erano altri posti di approvvigionamento per molti chilometri attorno. I contadini di passaggio venivano a rifornirsi di attrezzi, sementi e altri generi che non riuscivano a produrre in proprio, pagando spesso con i frutti delle loro attività, che a loro volta venivano messi a banco per gli abitanti del piccolo borgo. In poco tempo u’ lientu era riuscito a crearsi una posizione solida e un emporio sempre più fornito. Non per questo aveva dimenticato come si stava al mondo e quando c’era da fare credito a un poveraccio con cinque o sei bocche da sfamare non si tirava indietro, spesso dimenticandosi di sollecitare il pagamento. Per questo era benvoluto e rispettato in quella striscia di paese, cresciuta in fretta come gramigna ai bordi di quella strada butterata. Poco alla volta altri si erano aggiunti a quella specie di convoglio statico, aggrappati tenacemente a quella strada come a una fune di salvataggio.
Strinse le palpebre per vedere meglio, gli era sembrato di notare un movimento tra le stoppie dietro agli alberi, un baluginare di metallo sotto la luna. Non si era sbagliato, stavano arrivando. Strinse il fucile e guardò sua moglie per darsi coraggio.
Nascosti dall’erba alta dietro ai pioppi, Canazzu e i suoi avanzavano lentamente e con molta attenzione, avendo cura di non esporre alla luna le canne dei fucili e le lame dei coltellacci, per evitare che qualche luccichio potesse essere notato dalle case oltre la strada. Anni di abitudine a quelle sortite avevano affinato i sensi di quegli uomini che si muovevano come gatti anche sui ripidi sentieri di montagna. Non per questo Canazzu tollerava disattenzione e superficialità. Una volta aveva quasi ammazzato uno dei suoi perché si era messo a fumare mentre andavano a rapinare una fattoria a valle. Mentre lo colpiva furiosamente, continuava a ripetergli urlando A’ vrascj! A’ vrascj!, la brace, che nel nero della notte avrebbe potuto farli scoprire. Lo dovettero bloccare in tre, che altrimenti non si sarebbe fermato. Dopo quell’episodio nessun altro aveva avuto bisogno di spiegazioni. Anche quella notte, mentre avanzavano ai suoi lati, gli uomini scelti per accompagnarlo misuravano attentamente i propri passi come se fosse stata la prima volta, con un occhio al terreno e un altro al capobranco.
Maliritta, maledetta, pensava intanto Canazzu guardando in alto, quella luce rischiava di mandare tutto a monte e non se lo poteva permettere. Per la festa di sua figlia aveva bisogno di roba, tanta. Salame, carne e pane, vino e olio. E tutto quel bendiddio era nell’emporio, lo sapeva perché aveva mandato una delle donne a guardare con i propri occhi qualche giorno prima e sapeva anche che il proprietario era poco più che un ragazzo, con una moglie bambina incinta di sette mesi. Se fossero arrivati allo scontro non gli avrebbe dato troppo fastidio, il ragazzo si sarebbe squagliato come grasso al sole. La paura, prima di ogni altra cosa, l’avrebbe vinto. Così pensava, bisognava solo arrivare laggiù, attraversare la strada e prendere quello che gli serviva.
U’ lientu li vide arrivare e nascondersi dietro agli alberi, a poca distanza l’uno dall’altro. Adesso riusciva a distinguere perfettamente le loro figure e quello che non vedeva se lo immaginava. Quando venne a sapere di quel matrimonio, che con tutto il traffico che passava per quella strada le notizie facevano presto ad circolare, una brutta sensazione gli prese l’anima, come un’ombra maligna che faticava a scacciare. Il giorno che vide quella donna nera aggirarsi come una lupa per l’emporio ebbe la certezza che i guai stavano per arrivare. Sapeva chi era quella donna, sapeva chi l’aveva mandata e, come tutti, capiva cosa significava. Sapeva che niente li avrebbe fermati, avrebbero agito con accortezza e ferocia. Niente li avrebbe fermati tranne una cosa. Uguale accortezza e uguale ferocia. Si trattava di difendere tutto quello che erano e tutto quello che sarebbero diventati. Non aveva bisogno di altre motivazioni.
Sentiva le mani che gli tremavano e un bruciore come di febbre sul collo fino alle orecchie. Un conato di vomito risalì veloce lungo l’esofago. Chiuse gli occhi, fece un respiro profondo e mise la punta del fucile in una fessura della finestra.
– Mettiti dietro la credenza, Antonia, e non tirare fuori la testa per niente al mondo, neanche se mi vedi morto, – disse in un soffio alla moglie, – state al riparo voi due, – aggiunse guardando con tenerezza quel viso piccolo e quegli occhi così fermi. E quella rotondità quasi incongrua in quel corpo di ragazzina.