La serpe secolare
Racconto di Albino Console e Mariasole Orrico. La vignetta è di Kirill Scalirò
Era l’inverno del 1988. Nella Sila più interna il gelo era alle porte. Un piccolo borgo collinare era scenario di vite segnate da tempi lenti, quelli della terra. Uomini e donne sapevano cogliere nella lentezza delle giornate un senso di pace. Salvatore, come tutti gli anni, si aggirava per i boschi in cerca di legna e di funghi da portare a casa.
Tutti i suoi familiari ne andavano ghiotti. Quel giorno Salvatore aveva trovato pochi funghi ma molta legna. Affaticato ed alquanto irritato, si accingeva a fare ritorno nella sua umile casa. La Sila è un posto che può rivelarsi selvaggio. Può dare tanto da mangiare ma anche lasciarti digiuno per giorni. Salvatore quella sera andò a letto senza cenare, non perché non ci fosse nulla da mangiare ma perché l’inquietudine del suo spirito ribelle gli aveva chiuso lo stomaco. Ogni notte sognava una vita diversa. Sognava la città, la vita notturna e le donne. Era stanco dei pascoli e dei funghi da raccogliere per far felice la madre ed il fratellino. Quella notte dormì profondamente sognando proprio la vita che avrebbe voluto vivere. Il giorno seguente Salvatore uscì di casa ancora più irritato, triste e quasi deluso nel risvegliarsi da quel meraviglioso sogno fatto di luci, musica e donne. In cerca di funghi e non di legna decise così di addentrarsi molto in una parte del bosco inesplorata e selvaggia.
Salvatore trovò molti funghi ma avvertiva una strana sensazione che lo innervosiva. Spaventato, stava pensando di tornare indietro quando, improvvisamente, udì una fievole voce: “È impossibile che ci sia qualcuno”, disse fra sé e allungò il passo.
“Salvatore, fermati, ho fame!”, ripeté la voce. A queste parole il sangue gli si gelò nelle vene: c’era qualcuno che conosceva il suo nome.
Si fermò e si girò lentamente. A terra tra gli alberi vide una testa non umana che lo fissava con enormi occhi neri. “Non avere paura Salvatore, sono brutta lo so ma sono buona e affamata. Aiutami ed io aiuterò te”. Queste furono le parole che uscirono da un’enorme serpe, sofferente e prossima alla morte. Salvatore scioccato si offrì subito di darle parte dei suoi funghi e le disse che non avrebbe voluto nulla in cambio. La serpe ingoiò tutti i funghi che Salvatore le aveva poggiato a terra. Questa, ripresasi dalla fame, si avvicinò di qualche metro e, con voce calma, disse: “Sono vittima di una maledizione. Ero una donna meravigliosa, la più bella del paese, ma una strega mi ha trasformato in questo essere per gelosia. Ho il potere di realizzare i desideri di chi ha il coraggio di aiutarmi, ma sono debole.
Se tu mi aiutassi, io saprei come ricompensarti Salvatore, io so tutto di te, tutto”. Salvatore assolutamente incredulo di ciò che stava accadendo, dapprima, rispose che non voleva nulla ma poi ripensando alle parole della serpe disse: “Beh qualcosa ci sarebbe in verità. Sarei felice di vivere in città ed avere una vita dissoluta come nei migliori film. Sono stanco di badare agli animali e di raccogliere legna e funghi da portare a mia madre e al mio fratellino”. La serpe alzò da terra metà del suo corpo. Era enorme. Sembrava che, miracolosamente, avesse recuperato energie dalle parole ascoltate e rispose: “Salvatore io posso esaudire ogni tuo desiderio se solo tu fossi disposto a sacrificare qualcosa di importante com’è importante. Io posso darti la vita che vuoi. Sono magica ma qui soffro così tanto la solitudine. Anche io vorrei tanto avere qualcuno con cui parlare la sera. Da anni non parlo con nessuno. Amico mio perché non fai venire il tuo fratellino qui da me per qualche giorno. Sarei felice di avere compagnia e poi esaudirei il tuo semplice desiderio…”
Salvatore immediatamente rispose che non era possibile. Cominciò ad allontanarsi. A quel punto, la serpe, con voce triste e tra le lacrime, disse: “Grazie lo stesso amico mio, grazie per avermi nutrito e per avermi sfamato, non lo dimenticherò mai!”. Durante il ritorno a casa, la cena e l’intera notte Salvatore non fece altro che pensare all’incontro avuto e alle parole di quell’essere speciale. Chi mai aveva incontrato una serpe parlante. Due settimane dopo Salvatore era ricaduto in quello stato di frustrazione dovuto alla sua condizione di pastore incastrato in una vita che gli stava stretta. Decise, così, di parlare e di confidare tutto al suo fratellino, molto maturo per l’età che aveva. Gli chiese se avesse voluto far compagnia a quello strano essere per qualche giorno, per far sì che il suo sogno si avverasse. Il bambino, senza pensarci a lungo, al fratello che lo nutriva da sempre rispose: “Andiamo fratellone. Sono felice di poterti aiutare a realizzare il tuo sogno”.
Salvatore era incredulo. Stava per vivere la vita che aveva sempre desiderato. Pieno di energie, approntò un fagotto per il fratellino e, prendendolo per mano, si incamminarono verso il luogo del suo misterioso primo incontro. “Serpe, serpe fatti vedere!” gridava tra gli alberi Salvatore che non vedeva nulla, gridava sempre più spaventato dalla possibilità di aver perso per sempre quell’occasione. Ma puntuale arrivò la risposta della serpe che con voce calma sibilò: “Sapevo che ti avrei rivisto, e che bel bambino tuo fratello…”
“Serpe ho parlato con mio fratello e mi aiuterà, ti farà compagnia per sette giorni, poi verrò a riprenderlo e tu esaudirei il mio desiderio.” “Certamente amico mio. Staremo bene insieme, mi delizierà la sua compagnia e farò tutto ciò che vuoi dopo, non preoccuparti.”
Salvatore lasciò la mano del fratellino e disse che sarebbe ritornato dopo sette giorni. Velocemente fu sul sentiero di casa. Era fremente. Era esaltato all’idea che da lì ad una settimana avrebbe vissuto in città e conosciuto i piaceri terreni da sempre agognati. Inutile dire che quella settimana fu la più lunga della sua vita. Le ore passavano lente come anni e Salvatore sempre più agitato fremeva dalla voglia di incontrare la serpe. Rassicurava la madre che il figlioletto sarebbe stato bene e lui sarebbe stato finalmente felice di lì a poco. Arrivò finalmente il tanto atteso settimo giorno e Salvatore, di buon’ora, si incamminò verso il luogo dei suoi precedenti incontri.
Ormai non guardava neanche a terra. Camminava senza cercare più i funghi: non gli servivano più. Arrivato alla piccola radura in cui doveva riprendere il fratellino vide un piccolo fuoco sul punto di spegnersi, poca brace in un cerchio di pietre. “Bene! Hanno mangiato anche carne” pensò, quando vide tra la brace piccole ossa che sembravano essere quelle di qualche volatile. Avvicinandosi osservò meglio i resti di quello che doveva essere stato un pranzo. Salvatore, disperato, cadde in ginocchio. Non era selvaggina. Quelle erano ossa umane, resti di un piccolo uomo…
Cominciò a piangere e a gridare. Chiamava la serpe. Gridava con tutta la rabbia che aveva in gola fino a che una bellissima donna, facendosi largo tra la sterpaglia, gli chiese perché stesse gridando in quel modo. “Non trovo più mio fratello e temo che quella maledetta serpe l’abbia ucciso per mangiarlo. Mi ha mentito, mi ha tradito”.
La donna si avvicinò a lui e toccandogli delicatamente il viso gli disse: “Salvatore, sono io quella serpe, ti ho detto che ero una donna meravigliosa e che la maledizione mi aveva tramutato in quell’essere orrendo. Per tornare alla mia forma avevo bisogno di sacrificare una vita pura, ma non ti ho tradito, non ti ho mentito, io realizzerò i tuoi sogni. Dormi con me qui stanotte e domani torneremo a casa mia. Avremo la vita che vuoi ed io sarò sempre al tuo servizio, io ti ho amato dal primo momento che ti ho visto, da quando mi hai sfamato nella mia orrenda forma”.
Salvatore, sensibile come non mai al fascino di quelle stupenda creatura smise di gridare e, chiudendo gli occhi, si abbandonò alla delicatezza di quelle mani. Salvatore accettò di buon grado la morte del fratellino in cambio della sua felicità. L’indomani la madre dei ragazzi, non vedendo rientrare Salvatore con fratellino, preoccupata uscì per cercarli. Si incamminò nei boschi. Girovagò per molte ore fino a trovare una radura con un fuoco ancora scoppiettante. Tra la brace vide resti di piccola cacciagione e resti di qualche animale più grosso, probabilmente un cinghiale. Se ne allontanò rapidamente perché attorno a quelle pietre vide i segni del passaggio di un grosso serpente, attirato, forse dai resti della carne.
La donna non seppe mai che quella carne, apparteneva ai propri figli, che non avrebbe mai più rivisto.