La seconda volta di Roberto Albini. Una “questione” importante, anzi fondamentale

La seconda volta di Roberto Albini. Una “questione” importante, anzi fondamentale

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Recensione di Clelia Moscariello

Cosa hanno in comune un uomo e un pappagallo? E cosa li lega in una singolare amicizia? Per scoprirlo occorre necessariamente leggere “La seconda volta”.

Nel romanzo di Roberto Albini, strutturato su molteplici piani e livelli paralleli, sono presenti più temi: in primis, la questione dell’aldilà e, quindi il quesito esistenziale insolubile su cosa si trovi dopo la vita, in secondo luogo, il nostro sforzo quotidiano di attribuire il significato a qualcosa (spesso vano e/o vanificato all’interno della nostra esperienza) su cui nel romanzo si ironizza.

Tuttavia, ne “La seconda volta” è presente anche una tematica, oserei dire, centrale, capace poi, addirittura, di trainare tutte le altre e di avvolgerle in un unico file rouge e questo ce lo comunica proprio uno dei personaggi centrali della narrazione: Silvia, una ragazza dark, determinata, colta e laboriosa, orientata politicamente a sinistra, che lavora, studia e fa volontariato, insegnando in un centro sociale ai ragazzi Rom. Ed è proprio Silvia, il personaggio chiave a cui l’autore, come si diceva poc’anzi, affida il compito di esplicitare il motivo dell’oggetto della narrazione. Lei, infatti, risponde, in modo puntuale e naturale al protagonista della storia, suo cugino fascistoide, che afferma: «In fondo si tratterebbe solo di politica», dichiarando sicura: «No, mi dispiace, è molto di più. Qui si tratta di occhi, di quanti colori riesce a percepire il tuo spettro visivo, se sei un topo che vede in bianco e nero o un uccello che vede a colori. È una concezione diversa del futuro, che ti fa agire in una direzione opposta alla mia. Cosa mai potremmo condividere io e te? Una gita a Predappio?».

Insomma, Roberto Albini riesce a sviluppare attorno alla tematica dell’appartenenza politica, sentita e vissuta in maniera viscerale, l’intera storia, trasformandola in una questione vitale per l’individuo; questione rispetto alla quale, le altre tematiche potrebbero apparire solo sfumate.

Nell’ambito della storia, con una dose abbondante di cinismo e con estrema abilità descrittiva, Albini ci accompagna prima all’“Inferno” (scelta coraggiosa e a tratti irriverente verso i racconti della nostra tradizione oltre che sovente umoristica), poi nella Roma dei ruggenti anni ’80; per arrivare, in conclusione, ai nostri giorni, avendo la capacità di passare tra registri profondamenti diversi, che, in ogni caso mettono in risalto il suo solido background culturale.

Ci si potrebbe chiedere a questo punto perché si sia voluto attribuire tanto spazio, potere e importanza alla politica, e si potrebbe rispondere che il racconto presente sia anacronistico, utopico, e, probabilmente, avulso da ogni contesto. Sì, potremmo ragionevolmente affermare questo se, però, sfortunatamente la storia non ci avesse fornito adeguate prove del contrario, ossia, se essa, non ci avesse addotto attestazioni sufficienti riguardo l’esistenza coatta di un certo fanatismo e di un delirio ideologico non soltanto in forma individuale ma anche collettiva, che hanno attraversato e permeato le nostre epoche passate, e, che, spazzano ogni ragionevole dubbio sull’esigenza di questo motivo narrativo.

Non mancano i momenti di poesia e le cosiddette “oasi felici” all’interno de “La seconda volta”, come non sono del tutto assenti immagini malinconiche e nostalgiche: «la malinconia spesso assomiglia a quegli acquazzoni estivi che arrivano senza preavviso dopo una giornata di sole, durano qualche minuto, devastano e poi se ne vanno così come sono arrivati». Malgrado ciò, l’unica speranza, ammesso che essa possa esistere, sembra proprio quella contenuta e racchiusa nel nostro sentire umano, che appare, quindi, come l’unica risorsa che possediamo per elevarci oltre la nostra piccolezza e, qualche volta, meschinità umana, e per raggiungere l’estasi o una qualsivoglia sorta di felicità. Eppure, sempre di sprazzi di luce si tratta, in un contesto, invece, permeato interamente da nubi e tenebre. In fondo questo è il tratto saliente e riconoscibile di Albini che, lungi dal prediligere il “lieto fine”, sceglie spesso di lasciare in sospeso il lettore, sospendendo talvolta anche quello che è il suo giudizio sui personaggi; accogliendo così, in modo indiscusso, il nostro stato comune di appartenenti alla stessa condizione umana… stato, di frequente, drammatico, ma sempre universale, e pertanto, meritevole di uno sguardo conclusivo ricco di pietas.

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