La Persuasione e la Rettorica. Michelstaedter e l’Assoluto irraggiungibile

La Persuasione e la Rettorica. Michelstaedter e l’Assoluto irraggiungibile

Articolo di Martino Ciano

Mai riesce all’uomo di appartenersi, a essere tutt’uno con la volontà di vita che impone invece all’individuo di desiderare e di guardare al futuro. Ma se egli è solo nel presente, allora in questo punto preciso del tempo deve coincidere con l’Assoluto. L’Assoluto è qualcosa che l’uomo avverte in sé sempre; è un’urgenza che si manifesta nel suo animo, ma a cui non vuole abbandonarsi, perché la paura della solitudine, del vivere leggero, senza pesi, senza ancoraggi alla comoda terra, innalzandosi così al di sopra della massa, lo trattiene e lo imprigiona. Essere totalmente sé stessi impone un cammino solitario e l’accettazione del dolore. Carlo Michelstaedter ha solo ventitré anni quando scrive la sua tesi di laurea. Dopo averla conclusa però, nell’ottobre del 1910, si suiciderà; ma lascia a tutti noi delle domande: può l’uomo essere pienamente suo, quindi vivere secondo la propria volontà? Egli può fidarsi di quella vera persuasione che lo distacca completamente dalla falsa persuasione, ossia la rettorica?

La rettorica è una comoda scusa

La Persuasione e la Rettorica Adelphi

La rettorica è quel complesso sistema di regole e istituzioni che spingono l’uomo lungo quella che viene chiamata la retta via. Essa è la strada comoda dei compromessi, del contratto sociale con tutte le sue assurdità. Proprietà privata e lavoro sono giudicati veri e propri delitti, imposizioni che generano lotte fratricide, che garantiscono solo ad alcuni la libertà d’azione, mentre un’altra parte dell’umanità è tenuta in schiavitù. Ogni individuo però è trasformato in una cosa. Ma queste regole sono infuse nella società attraverso quelle istituzioni ingannevoli, fra queste la scuola, che non garantiscono lo sviluppo delle proprie risorse o delle proprie aspirazioni, ma le dirigono, le incanalano nella rettorica. Così l’uno inganna l’altro, l’uno ammaestra l’altro, chiamando giusto e secondo natura ciò che invece è innaturale e ingiusto. L’uomo quindi vive costantemente con quest’ansia di essere se stesso senza mai comprendere cosa egli sia per davvero. Anche colui che vive bene nella rettorica, non può fare a meno di domandarsi cosa sia e se davvero è ciò che vuole. Ed è proprio questo dubbio, questa domanda che si agita nella sua anima, che testimonia ch’egli non è la sua volontà, ma si accontenta di appartenere ad altro o ad altri, accettando di non essere mai suo.

Schopenhauer, Nietzsche e Platone

Secondo Michelstaedter, colui che gettò per primo la rete del grande inganno è stato Aristotele, maestro di quella retorica attraverso cui tutto è stato sottomesso. Mentre Platone, rimarcando i dialoghi del suo maestro Socrate, aveva messo in mostra che la strada della vera persuasione è quella lungo cui ci si toglie pesi su pesi. Sicuramente, la principale fonte di ispirazione del giovanissimo filosofo fu Schopenhauer, anche se nel suo pensiero riecheggia il superomismo nietzschiano e anche un certo individualismo etico che ci riporta a Stirner. Ma c’è un altro aspetto che Michelstaedter mette in evidenza: gli inganni della scienza e della tecnica. Il sapere, quello che l’uomo costruisce pezzo dopo pezzo, che lascia in eredità ai posteri i quali a loro avranno il compito di ampliare, confutando o migliorando tesi e teoremi, innesca lo sgretolamento dell’individuo. Pertanto, il progresso è solo una forma di autodistruzione.

Tecnica e sgretolamento dell’individuo

Il sapere non permette allo spirito di improvvisare. Ma improvvisare non vuol dire vivere nella cieca ignoranza o nella presunzione, ma fare diretta esperienza del mondo, scoprire la propria volontà e le proprie aspirazioni. Così, il dominio della natura che l’uomo si impone di attuare attraverso la tecnica, che ha spodestato Dio, l’Immutabile e l’Assoluto con un lavoro in progressione che è solo uno scoprire che nulla svela, in quanto sempre soggetto a modifiche miglioramenti o interpretazioni, priva l’individuo del suo istinto, della sua naturalezza. Per questo motivo, anche se non patiamo più il freddo, anche se non abbiamo più bisogno di cacciare per cibarci, anche se non soffriamo più la sete, vediamo la natura come una matrigna che ci ha scacciati dalla sua casa. Ed è un po’ ciò che la rettorica fa dell’uomo nel momento in cui lo ingabbia nel complesso sistema di regole e compromessi che dissolvono la volontà. L’uomo che si pone fuori dalla società e dalla rettorica è definito pazzo. Ma come detto all’inizio, la strada della persuasione, del conosci e vivi te stesso, è fatta di solitudine e dolore. In quanti sono pronti a questo sacrificio? Michelstaedter chiama in causa anche Gesù Cristo, colui che prima di tutto salvò se stesso e poi indicò la via agli uomini, ma il suo esempio, in mano alla Chiesa, è stato trasformato in moralismo, in vuoto folklore, in riti che sono stati usati a piacimento dalla rettorica. Per questo motivo, tra il dire e il fare, tra le parole e i fatti della Chiesa c’è un abisso.

La persuasione impossibile

Michelstaedter sapeva bene che le sue parole non avrebbero generato seguaci e che il suo pensiero non aggiungeva nulla a quanto già detto. Basta rivolgersi alle grandi personalità del passato, quelle poche che hanno vissuto al di fuori della rettorica, per rendersi conto che tutto è già stato scritto e che gli uomini non hanno più bisogno di segni. Non possiamo essere certi che il motivo del suo suicidio sia proprio da ricercare nell’amara consapevolezza di Michelstaedter che anche le sue parole non si sarebbero tramutate in fatti. E allora ci chiediamo: Michelstaedter ha ammesso che l’uomo non si lascerà mai persuadere del tutto dalla sua volontà?

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