La peddi nova. Ignazio Buttitta e il suo spietato sarcasmo

La peddi nova. Ignazio Buttitta e il suo spietato sarcasmo

Articolo di Giusi Sciortino. In copertina: “La peddi nova” di Ignazio Buttitta, Sellerio editore, 2013

Ignazio Buttitta, famoso in vita per le sue performance accompagnate spesso dal cantastorie Ciccio Busacca, elabora una poesia popolare con intenti civili che coglie l’anima di un popolo, quello siciliano, facendosene portavoce. Un nobile spirito di fraternità e un senso della storia doloroso, moderno ne contraddistinguono la poesia. Buttitta canta jurnateri e deride padroni, parla di povertà e miseria, racconta di madri dolorose, gli ultimi del popolino, gente perduta che lavora una terra dura che spacca la schiena e a cui rimane un’unica possibilità: l’amore per le radici, la verità. Buttitta ritrae personaggi talvolta con sarcasmo spietato, altre con umana pietà, quella che si confà a un poeta, arrivando alla satira appassionata, specie se unita al fervore politico, per esempio in Sariddu lu Bassanu, ritratto di un fascista.

Una raccolta esemplificativa dell’opera di Buttitta è La peddi nova (Sellerio, a cura di Salvatore Silvano Nigro) che già dal titolo rimanda alla muta continua che è il destino dell’uomo che vive e cambia e non si fa spettatore passivo della propria esistenza. Leggendo questo libro mi è venuto in mente uno strano collegamento: forse De André potrebbe aver tratto ispirazione da Buttitta per le sue canzoni? Chissà, però quel verso “virranno a dirimi” evoca un poco il famoso “verranno a chiedermi”; invece il brano Il testamento ricorda moltissimo Lu tistamentu di lu jurnataru (Chi lassi quannu mori? eccetera); per non parlare della canzone Sogno numero due che richiama alla mente Vui li mputati. Pure i temi sono sovrapponibili: Li vuci di l’omini celebra una prostituta, cosa che fece anche De André, tema classico, per carità, pure il milanese Carlo Porta (non a caso poeta dialettale) dedicò il poemetto La Ninetta del Verzee a una prostituta.

Solo un esercizio di rimandi e connessioni, ci mancherebbe, forse non troppo ozioso, dato che lo stesso De André si interessò al dialetto genovese e a oggi viene inserito nelle antologie scolastiche. De André però rimane pur sempre un borghese, mentre Buttitta è voce popolare, da riscoprire ora che si rischia di perderne l’eredità, specie quella linguistica, realizzando la profezia di Pasolini di un genocidio culturale. A proposito di Pasolini, la poesia che dà il titolo alla raccolta è dedicata proprio a lui. Dopo un primo non riconoscimento del valore artistico di Buttitta, Pasolini ammise la validità della sua azione poetica. La nostalgia della cultura del popolo perduta e il tentativo di restituircela nella sua specificità primaria, ovvero il dialetto, questo cantarne la ricchezza, la libertà e dignità raccogliendo dei poveri la tragedia, la rabbia, il rancore ma soprattutto la vitalità, insomma tutte le istanze della civiltà contadina, fanno di Buttitta un vero poeta. E dovremmo raccogliere anche noi la sua eredità, siciliani e no, leggendolo in traduzione, ma ancora meglio in originale (esistono anche video), per assaporarne la genuinità e la freschezza del dettato. Non so se oggi sarebbe ripetibile il successo che il poeta ebbe in vita, però lo immagino apparire a un poetry slam, senza alcuno spirito di competizione, e rivolto agli interlocutori, attaccare col suo celebre: «Parlu cu tia». Con chi? Con chi vorrà ascoltarlo.

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