La nube della non conoscenza. Una traduzione

La nube della non conoscenza. Una traduzione

Articolo di Martino Ciano già pubblicato per Zona di Disagio

L’umiltà non richiede l’annullamento del proprio io, ma un atto di coraggio attraverso il quale ci si riconosce per ciò che si è. L’abbandono della razionalità e della conoscenza non è una discesa nell’ignoranza, ma la consapevolezza di abbandonarsi a una ricerca superiore attraverso cui si ascende a quella nube dove Dio e uomo sono faccia a faccia. La strada maestra verso la contemplazione è tracciata. Il resto è intuizione. Ma se anche in questa nube, in cui si è entrati con tanta difficoltà, l’attrazione verso la Terra non dovesse cessare, allora tutto sarà stato vano e se ne ricaverà solo un gran dolore.

Ricordo le parti dei libri che ho amato, le riassumo e le interpreto; mi scuso se qualche errore dovesse essere riscontrato dal lettore che, incuriosito dall’incipit di questo articolo, volesse gettarsi nella lettura de La nube della non conoscenza, pubblicato da Adelphi. Scritto nel XIV secolo da un anonimo religioso inglese, come regalo per un novizio, questo libro resta uno dei più importanti in materia. Per fortuna, per leggerlo non bisogna essere novizi, tantomeno praticanti o teologi. Basta la curiosità, grazie alla quale non si incappa mai nelle trame dell’autocensura.

Il ragionamento è lineare: l’avvicinamento a un’entità extraumana, spiritualmente superiore, non può avvenire attraverso la ragione o, per meglio dire, mediante la razionalità. La realtà è costruzione dei sensi edulcorata dalle sensazioni, le quali sono le parole del sentire-in-sé. Se un’oggettività esiste, questa non è scrutabile dall’uomo, il quale cercherà sempre di plasmare la realtà che lo circonda secondo le proprie emozioni. Parafrasando il filosofo Ludwig Feuerbach, ogni individuo è Dio per sé, in quanto Dio è l’intimo rivelato dell’uomo. Questa creazione inconsapevole, ma allo stesso tempo alienante, non lascia spazio ad alternative. Viceversa, quando le alternative si palesano come fulmini a ciel sereno, esse sono frutto dell’intuizione. L’intuizione è un suggerimento divino.

Se la cosa più vicina a Dio è l’arte in ogni sua forma, la contemplazione è l’ingresso nella stanza del dialogo: una nube posta tra Terra e Cielo, che non è rifugio ma fucina. La nube della non conoscenza è così un trattato che rivela l’essenza umana; nulla a che vedere con la pedante dottrina, anche se il libro è rivolto a un novizio, perché rimane sempre fuori da quello schema teologico e burocratizzante che nulla ha a che spartire con la ricerca di Dio.

Così la contemplazione è la relazione intima tra uomo e divinità; relazione distaccata dalla Terra e dalla ragione, gioco di poeti e di folli, alchimia di fatalità e di consapevolezza. E sebbene sia l’amore la prima qualità che si guadagna nel momento in cui si perdono razionalità e conoscenza, è pur vero che per amore non si intende un banale sentimento di superlativo affetto, ma la consapevolezza di non dover escludere nessuna possibilità, in quanto ciò che circonda l’uomo è un dono della follia di Dio, la quale crea, agita e scompone con lo sguardo dell’eternità.

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