La Novità (Prima Parte)
Racconto di Gennaro Lento
Una mattina, all’improvviso, arrivarono i marziani.
Preceduti da un soffice rumore di risucchio e in mezzo a un gran svolazzo d’erba e foglie, atterrarono proprio dalle parti di Tregambe, esattamente nel punto in cui si narra che quasi un secolo prima il diavolo in persona apparve ad una contadina locale particolarmente procace, completamente ignudo e dotato di una virilità così notevole da farlo sembrare provvisto di tre arti inferiori invece dei canonici due, da cui il nome della località. Si racconta anche che la contadina, visibilmente sconvolta, riuscì a sfuggire dalle grinfie del satanasso e correre subito in paese ad avvertire il resto della popolazione della diabolica minaccia che incombeva sulle loro teste, mettendo in guardia le signore dall’avventurarsi su per la montagna. Come spesso accade, del fatto esiste anche una versione meno elegiaca alimentata dalle dicerie popolari, secondo le quali il ritorno in paese della contadina non fu così immediato e che sotto le esigue spoglie diaboliche non ci fosse altri che un certo Nicola, omone alto due metri che viveva allo stato brado sulle montagne fin dalla nascita.
Ma questa è leggenda.
Nonostante si fosse in novembre inoltrato, il cielo di quella mattina era limpido e sgombro di nuvole, se si eccettuava qualche rado filamento biancastro proprio lungo la linea dell’orizzonte, giusto attorno alle cime dei monti Appizzutati. Così addobbati, quei picchi austeri parevano un drappello di vecchietti puntuti e barbuti che stavano a concionare di questo e di quello davanti all’ufficio delle Poste nel giorno di pensione.
Senza tante manovre, gli alieni avevano parcheggiato la loro astronave lucida in mezzo ad una radura, creando un certo scompiglio nel gregge impegnato a brucare l’erbetta umida proprio al centro dello spiazzo. Il pastore Pino, che in quel momento era nascosto dietro ad un albero per espletare le necessarie funzioni fisiologiche, fu il primo essere umano sulla terra a vedere con i propri occhi quell’avamposto di civiltà aliena sotto forma di disco panciuto del tutto simile ad una teiera d’argento. Lo spettacolo lo lasciò a bocca e patta aperta per diversi secondi, durante i quali non riuscì a formulare alcun pensiero a riguardo. Ricompostosi non senza difficoltà e con grave rischio d’incolumità alle parti molli, la sua prima reazione fu di incredulità. Era veramente un’astronave aliena quella che aveva davanti? Possibile che proprio lui si trovasse di fronte ad un evento di importanza storica? Il suo cervello faticava ad elaborare l’avvenimento, tanto che subito pensò a qualche scherzo allestito ai suoi danni da quei furboni del bar giù in paese, tanto per farsi quattro risate alle sue spalle. Tuttavia, sebbene non fosse dotato di un’intelligenza particolarmente vivace, il pastore Pino ci mise pochi istanti per scartare questa ipotesi e rendersi conto che nessuno di quei perdigiorno poteva essere stato in grado di combinare una messinscena così grandiosa e ben rifinita e che quindi qualcosa di straordinario stava avvenendo proprio sotto i suoi occhi. Un brivido gli attraversò la schiena, era testimone unico di un evento mai accaduto sul pianeta terra dall’inizio dei tempi. Una responsabilità immensa.
Stupido! disse tra sé riscuotendosi dall’intontimento, c’era bisogno di lasciare da parte le emozioni e registrare i fatti in modo da permettere a tutto il mondo di condividere quella novità. Mettiamo il caso che vanno via subito, pensò angosciato, chi mi crederebbe se raccontassi una storia simile in giro? Mi prenderebbero per pazzo! C’era solo una cosa da fare. In un attimo cavò dalla tasca il cellulare e iniziò a scattare foto a raffica come un paparazzo su Via Veneto negli anni sessanta.
Comunque, quelli non sembravano voler sloggiare tanto rapidamente. Anzi, a dire il vero sembrava che non volessero fare proprio un bel niente. Posatosi il vortice di polvere e stoppie, l’astronave se ne stava ferma e immobile, tanto che le pecore, messe in fuga dall’apparire del mezzo, tornarono lente a brucare l’erba attorno ai piedoni di metallo del coso extraterrestre, confermandosi come bestie notoriamente insensibili al fascino dell’ignoto e ortodosse nell’osservanza della loro semplice graduatoria di necessità animali. Primo: mangiare.
Passati dieci minuti di comprensibile smarrimento, e dopo un centinaio di scatti di sicurezza, il pastore Pino venne fuori con cautela da dietro l’albero che gli aveva fatto da improvvisato riparo e prese a valutare la faccenda da un punto di vista pratico. La prima cosa da fare era chiamare le forze dell’ordine, che sicuramente avrebbero saputo chi avvisare e regolarsi di conseguenza. Si, però chiamo i Vigili, ragionò con una certa logica, che i Carabinieri stavano a più di cento chilometri e hai voglia ad aspettare. E poi cosa gli dico? Che nel mio pascolo sono atterrati i marziani? Quelli minimo mi mandano a funghi. No, no, chiamo Petrasso, che mi conosce e mi darà retta.
Stabilita la procedura, il pastore Pino prese a consultare il suo telefono con la reverenza che si usa di fronte a quelle evenienze di cui non si afferra pienamente il senso, come quando Zia Finuzza l’aveva trascinato al cospetto del mago Strano per fargli togliere di dosso quell’invidia e quel malocchio che non gli permettevano di trovarsi una moglie bella e brava. A dire il vero, la prima volta che era andato dal “Grande Maestro del mistero dell’Amore”, come recitava la sua locandina, quello l’aveva squadrato da capo a piedi e dopo aver scosso un gran testone di riccioli neri aveva sentenziato che a parer suo non aveva alcuna invidia addosso, anzi. Forse abbisognava di maggiore cura personale per rendersi più appetibile alle signorine della sua età, che ormai guardavano tutte la televisione, ciattavano col computer e di ragazzi belli ne vedevano a tutte le ore. La zia non si diede per vinta e quasi per forza, dietro adeguato compenso, si fece consegnare una boccettina piena di liquido scuro da far ingurgitare al disgraziato due volte al giorno durante il plenilunio, esclusivamente a digiuno. Manco a dirlo, di fidanzate belle e brave neanche l’ombra, figuriamoci mogli. Piuttosto, durante il periodo della cura, al povero pastore gli si sviluppavano su tutto il corpo certe bolle che ne compromettevano drasticamente la già discutibile dotazione di fascino personale. Pazienza, si diceva sconsolato, si vede che non era destino.