La notte più buia. Cronache di una generazione

La notte più buia. Cronache di una generazione

Recensione di Maurizio Carvigno

Una radicata vulgata vuole che i medici, con rare eccezioni, posseggano una pessima grafia, con buona pace dei malcapitati farmacisti e dei poco pazienti malati che approcciano alla ricetta medica con la medesima attenzione che Jean Champollion riservò per la decifrazione della celebre Stele di Rosetta.

Non so, onestamente, se Roberto Gramiccia, medico di professione, giornalista ma anche apprezzato critico d’arte, possegga una pessima grafia, di sicuro, però, sa scrivere ottimi libri, come testimonia la sua ultima fatica letteraria.

Edito da Mimesis, casa editrice da sempre dispensatrice di buonissima letteratura e non solo (consiglio, a tal proposito L’arte dei misogini di Roberto Bertoldo) La notte più buia. Cronache di una generazione è un libro godibilissimo, che si legge davvero d’un fiato e che ha il merito, qualità rara, specie ultimamente sugli scaffali delle librerie, di far riflettere senza mai annoiare, di coinvolgere il lettore senza mai spaesarlo, facendolo sentire, al contrario, protagonista, preso per mano da una narrazione fluente, ironica e dolcemente nostalgica.

Saggio e autobiografia al tempo stesso ma anche intima analisi attraverso il flusso dei ricordi, La notte più buia è un viaggio nei meandri della crisi della Sinistra, argomento quanto mai attuale ma anche dello stato di salute, concedetemi questa espressione quasi tautologica, della nostra medicina, ambiti ben conosciuti da Gramiccia, affrontanti, però, senza alcuna pedanteria ma con suggestivo coinvolgimento di chi ha vissuto, sentito, provato tutto ciò che viene raccontato.

Fin dalle primissime pagine del bel libro di Roberto Gramiccia ho avvertito forte il richiamo a uno dei film più importanti della mia vita: C’eravamo tanto amati.

Perché come la pellicola di Ettore Scola, anche il libro di Gramiccia rappresenta un intimo focus su quello che siamo stati e su quello che a fatica siamo diventati, sui sentimenti, sulle emozioni, sulle scelte fatte, su quelle ipotizzate, su quelle rimpiante, perché, come lo stesso scrittore sottolinea «i tempi storici non sono mai quelli che vorremmo. A volte sono lunghi e limacciosi, altre hanno delle accelerazioni spaventose.»

La notte più buia. Cronache di una generazione è «una raccolta di scritti il cui scopo principale è quello di raccontare, in modo indisciplinato» come senza infingimenti Gramiccia stesso dichiara, la storia della sua generazione, in modo apparentemente disordinato, senza alcun assetto cronologico con la sola, sorprendente pretesa, totalmente rispettata, di porre in risalto il generale sul particolare, dando rilievo al sollievo derivante dal prodigio dell’ironia piuttosto che all’afflizione «del giudizio manicheo.»   

Come nella pellicola di Scola anche nel libro di Gramiccia la narrazione è fluida, divertente, lievemente nostalgica, affollata e al tempo stesso solitaria, controcorrente ma, soprattutto, trascinante anche per chi non ha vissuto gli epici stravolgimenti di quella generazione.

Un lungo racconto che si apre con un ricordo sbloccato dall’età più dolce e lontana, quella dell’infanzia, un frammento di memoria ritmato da un urlo infinito che squarcia la notte più buia, titolo bellissimo dal sapore munchiano, un pianto senza ristoro, scandito dall’atroce sofferenza «di non sapere che cosa succede, di non capire il perché di un abbandono che dopo due tre ore sembra definitivo, irrimediabile, irreparabile, quasi il preludio di una fine che a quell’età non è nemmeno concepibile.»

Poi, in un salto temporale che tanto sarebbe piaciuto a Scola per la sua suggestiva e umanissima teatralità, ecco dipanarsi il racconto dell’esplosione della bufera ormonale del protagonista, una bomba improvvisamente deflagrata in un contesto angusto e ovattato, definito dai rigidi steccati di un prestigioso e costosissimo liceo privato romano, a due passi dalla barocca e suadente piazza di Spagna. Il racconto, insomma, della prima volta del protagonista che ha il nome esotico di Joséphine, una prostituta di quarant’anni e il poetico pudore di due adolescenti, Roberto stesso e il suo amico Riccardo, convinti e coesi nel non provocare una cocente delusione a una persona di una certa età che, «come tale meritava rispetto e considerazione» anche correndo il rischio di vivere un’esperienza ben diversa da quella desiderata, pruriginosamente immaginata ed emotivamente pregustata.

La narrazione di quella prima volta potrebbe essere quella di tante prime volte di molti lettori più o meno coetanei dell’autore e, allora, lasciamo che sia lui stesso a descrivere la naturalezza di quella originaria esperienza, in cui ci pare di sentire il timido sussurrare del protagonista, di vedere il suo impaccio in quella stanza magari anch’essa, chissà, con un soffitto viola, una melodia di parole ed emozioni che ci porta, inevitabilmente, a uno dei tanti spartiti suonati da Fabrizio De André, sullo sfondo di una Genova innervata da infiniti carruggi della Città vecchia:

«Quello che seguì fu una mezz’ora che più che di sesso parlò della sapienza pedagogica di una prostituta carnosa, monumentale e intelligente che comprese al volo come doveva muoversi per rassicurarmi più che per eccitarmi. Grazie a lei, capii, nonostante l’ingorgo emotivo, cosa potevo e dovevo fare sia pure in assenza di qualsiasi attrazione per quella che mi appariva come una gigantesca e matura zia, la cui unica sensualità era espressa dalla calata francese.»

Oltre quaranta i capitoli di questo libro, tappe di crescita, silloge di un percorso lungo, complesso ma, soprattutto, affascinante, storie, ed è questo un altro merito, non certo marginale, che possono essere lette distintamente, non seguendo, necessariamente, l’ordine cronologico, potendo, invece, iniziare dal racconto che più ci stimola in base al titolo e proseguendo sulla base dell’istinto, dell’impressione del momento.

Ecco, allora che da quella pasoliniana prima volta si può passare, con la naturalezza che solo la letteratura è capace di regalare, alla storia di Jannis Kounellis, il grande greco «un personaggio che fece la storia, non solo quella dell’arte.» E, poi, magari, possiamo perderci in un incontro che non si dimentica, quello con Mario Monicelli o, magari, in un caleidoscopio letterario, lasciarci rapire dalla narrazione dei famigerati anni Novanta, «inaugurati salutando appena un anno prima la caduta del muro di Berlino.»

E la medicina? Nel libro di Gramiccia, ovviamente, non manca, protagonista, infatti, di più di un racconto, come nel caso di “una malattia letteraria” così definisce l’autore la tubercolosi «una grande rappresentazione della vita e della storia.»

La notte più buia. Cronache di una generazione è un percorso politico, artistico, sociale, vitale, un viaggio in diverse tappe, storie che molto probabilmente, come lo stesso Gramiccia esplicita nella premessa, senza lo scoppio della pandemia di Covid-19, sarebbero rimaste confinate in qualche angusto anfratto della memoria, oggetti dimenticati sotto la spessa coltre del tempo.

E, invece, proprio quell’evento incredibile e inimmaginabile della pandemia che ha sconvolto, scavato, mutato la nostra esistenza, ha fatto comprendere all’autore e noi con lui che «la crisi della sinistra, dell’arte, della medicina (e non solo) possono essere occasioni, piuttosto che condanne. E la pandemia: il tragico avvertimento che non c’è più tempo da perdere per sfruttarle.»

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