Recensione di Martino Ciano
C’è una femminilità ribelle in Margherita Ingoglia, così come la necessità di esistere al di là del corpo e della carnalità. Non è offesa all’uomo o alla società dare alla donna la propria centralità, tanto meno questa raccolta poetica è la solita operazione di genere. No, Ingoglia parte dal pregiudizio, dalla collocazione che viene data al “sesso debole”, “alla portatrice del buco intorno al quale tutto si concentra”, alla “dispensatrice di guai”, per giocare poi con la tradizione, con il folklore.
Ballate disturbanti, per l’appunto, che indagano le contraddizioni con voce sofferta, ironica, pungente, ma mai sommessa. Non un manifesto o l’ennesimo grido dell’orgoglio femminile, ma una denuncia di ciò che viene propagandato senza mai concretizzarsi, dell’emancipazione tradita, della naturalezza affossata, di una rivoluzione in cui forse neanche la donna ha creduto o ha voluto portare a termine.
Nei versi di Ingoglia c’è la ripetizione dei significati attribuiti dalla superficialità dei tempi, la presa di coscienza d’essere donna-carne, spirito frivolo di avventura e passione, terra di conquista per puerili maschi. Cosa è cambiato? Poco, la donna-oggetto è realtà. La rivoluzione sessuale è solo liberazione della libido. Qui invece c’è un richiamo a una ancestrale potenza, la rievocazione di una spiritualità femminile che poi si è trasformata in colpa istituzionalizzata. C’è la donna diventata strega per necessità, per combattere la sua emarginazione.
La malagrazia è quindi poesia di identità, capace di tracciare i lineamenti di una donna che non vuole né essere inclusa né accettata, ma che è tale in ogni momento e in ogni luogo. Lo stereotipo tradizionale, così come ogni forma di tolleranza dimostrata verso la sua essenza, viene tra questi versi deriso, accusato, maltrattato, come se ogni processo fosse anacronistico. Non è infatti una questione di genere quella che viene sollevata dall’autrice siciliana, ma una poetica dell’Esserci e dell’Appartenersi, che sfida la convenzione, anche la ribellione. Banale è la tradizione, così come banale è la rivoluzione dei costumi nel momento in cui dimostra di muoversi secondo coordinate già battute.
Questa forza ancestrale, nella quale la donna è vita e passionalità, annientamento e rigenerazione, è ciò cui fa appello Ingoglia, con un chiaro riferimento a quella sensualità invadente che ha fatto ribollire il sangue delle generazioni, tanto da dover gettare un’ombra, un drappo, su tutto ciò che nella donna è volontà di vita.
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