La luce sugli oceani

La luce sugli oceani

Articolo e foto di Letizia Falzone

Un faro guida a distanza i naviganti e proietta la sua luce a perdita d’occhio da un’isola sperduta nell’Australia Occidentale.

Tom Sherbourne è un ex-combattente sul Fronte occidentale dopo la Grande Guerra del 1918 e ottiene l’incarico che molti non vogliono, quello di guardiano del faro di Janus, accettando di vivere in una sperduta isoletta incuneata tra l’Oceano Indiano e l’Oceano Antartico, nel tentativo di allontanarsi dal mondo e dalle immagini di un conflitto a cui è sopravvissuto. La possibilità di distanziarsi dal passato consiste nell’autobandirsi dalla società per espiare le proprie colpe.

Janus: un gennaio che guarda al nuovo anno ma ricorda quello vecchio e sempre in bilico tra due momenti, due estremi, proprio come la luce tra gli oceani. Anche Tom inizia a stare in equilibrio tra la sua propensione alla solitudine e la voglia di creare una famiglia quando incontra Isabel, una giovane solare e innamorata che lo convince in tempi brevi a sposarsi e a trasferirsi con lui sull’isola dove sono gli elementi a far sentire tutto il loro peso. La terra (poca) incuneata nell’acqua (tanta) che si estende a perdita d’occhio; poi, il vento minaccioso, che spira inesorabile, attraversato solo dalla luce del faro che indica la giusta direzione ai naviganti.

La vita a due è felice, è fatta di quotidianità scherzosa e di un’esistenza che non sembra soffrire della mancanza di socialità, almeno finché non fatica a diventare una vita a tre. La luce sugli oceani, adattamento cinematografico di Derek Cianfrance dell’omonimo best seller del 2012 dell’autrice M. L. Stedman, porta in scena lo strazio di una coppia alla ricerca di un desiderio inappagato: avere un figlio. Isabel subisce due aborti e il divario con suo marito cresce ad ogni croce bianca piantata sulla terra; una frase scritta (always remembered) che suona più come una minaccia che una consolazione per due genitori costantemente a metà, mai compiuti.

Ma inaspettatamente l’oceano le restituisce una barca con una neonata e il cadavere di un uomo. Isabel prende tutto questo come una ricompensa del destino. Propone di adottare illecitamente la bimba e di non rivelare mai a nessuno il loro segreto. Nessuno lo verrà a sapere, basterà solo infrangere una piccola regola. Basterà che Tom non segnali il naufragio alle autorità, così nessuno verrà mai a cercarla. Decidono di chiamarla Lucy. Ben presto quella creatura vivace e sempre bisognosa di attenzione diventa la luce della loro vita. Ma ogni luce crea delle ombre. E quell’ombra nasconde un segreto pesante come un macigno, più indomabile di qualunque corrente e tempesta Tom abbia mai dovuto illuminare con la luce del suo faro. Alla gioia ritrovata della coppia, nel frattempo, corrisponde il senso di vuoto e disperazione di Hannah che a distanza, sulla terra ferma, vive il lutto per la perdita della propria famiglia in mare; per lei il passato è un fantasma da allontanare. Gli equilibri nel corso del film si invertiranno, facendo vivere a Tom e Isabel il supplizio della separazione dalla figlia.

Il faro di Janus porta luce e ombra nelle vite di Tom e Isabel, destinate alla sofferenza ma anche all’amore. La storia è intensa e struggente e affronta temi universali come la maternità e il senso di giustizia, e si interroga molto sullo stato d’animo delle sue protagoniste femminili: due verità, due madri affrante dal dolore, una scelta sbagliata, un marito devoto e padre affettuoso. Ma quanto si è disposti a mentire per amore? Un mondo di affetto e sofferenze che si alternano, decisioni da prendere e un concetto da chiarire: è sempre giusto seguire quello che il cuore comanda o a volte è meglio far prevalere la ragione?

Il paesaggio è l’altro grande protagonista. Una terra aspra e inospitale, che cozza con l’intimità affettiva dei due protagonisti e ha la funzione simbolica di rappresentare le difficoltà che si celano dietro ogni angolo in quello che, almeno inizialmente, potrebbe sembrare un idillio d’amore. Tom ama tantissimo Isabel e ha una consapevolezza che è da pochi: sa che ogni persona ha un limite di sopportazione al dolore, oltre al quale nulla si può.

E proprio quando credevo di trovarmi senza alcun problema dalla parte di Isabel, condividendo prima la sua sofferenza e poi la sua gioia, ecco che la trama mi riserva una sorpresa inaspettata. Vorresti schierarti con decisione dalla parte del “giusto”, ma poi non ce la fai, ti lasci trasportare e alla fine non lo sai neanche più cosa sarebbe davvero “giusto” fare.

Mi sono trovata a questo punto dilaniata tra due amori di pari intensità; si tratta di due amori di madre: quella naturale e quella acquisita. Devo essere sincera, mi sono sentita impotente nel saper fare una scelta. Ed è stato questo il momento che ho iniziato a simpatizzare e a capire meglio la figura di Tom, che inizialmente ho faticato a comprendere: la sua saggezza, la sua capacità di comprensione, il suo livello elevato di capacità di rispetto per l’essere umano.

Una storia sulla differenza fra solitudine e isolamento, sugli opposti di “luce” e “ombra” generati dal Faro, che poi è anche metafora di amore e colpa, salvezza e pericolo… sulla possibilità di riscattare i propri errori. Solo l’amore incondizionato guiderà i personaggi ad una soluzione che sarà frutto del tempo e del rispetto dei sentimenti di ciascuno.

Ma è anche una storia sulla “perdita”: tutti perdono qualcosa, nessuno escluso.

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